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Chiacchere, sagge!






Accadde nella Saletta dei Pericolanti dell’Ateneo messinese. L’argomento: Open access per le ricerche. Il sano principio, che apprezziamo per le più varie informazioni, opinioni e tanto altro, in rete, di cui ci nutriamo giornalmente, deriva proprio dalla necessità che ebbero, per primi gli scienziati, di scambiarsi in tempo reale gli avanzamenti delle loro ricerche, affinché altri le potessero proseguire o implementare con le loro.

Dobbiamo la rete e questa accessibilità aperta, a quei primi esperimenti dell’essere in rete, pur su specifici argomenti e per interessi collettivi. Si comprendeva, infatti, che quanto più sarebbero venuti a conoscenza dei propri esiti ed ancor più di ciò che avevamo in corso di sviluppo, tanto più, positivamente, avremmo potuto fruire delle osservazioni che altri avrebbero fatto da differenti, e quindi nuovi, per noi, punti di vista. 

Si trovarono persino applicazioni utili in settori a cui non pensavamo, occupandoci di uno specifico settore, che, ormai era inattuale la figura dello scienziato rinascimentale, tanto si era espanso il potenziale di indagine in profondità, oltre che in ampiezza. Oggi ciò è ancora più vero.

L’intervento di altri attori, interessati a quanto si sviluppava, per sfruttamento economico, applicativo e quindi commerciale, ha dato un grande impulso ai brevetti che, sostanzialmente, sono proprio l’opposto del libero accesso: dobbiamo però scindere la copertura brevettuale delle singole applicazioni, dai principi teorici alla loro base.

Un chiarimento su ciò lo fa il distinguere tra ricerca pura o di base, che si occupa dei principi osservati in natura, ma anche di ciò che si sperimenta in laboratorio e su cui pure si fanno osservazioni che aumentano il nostro bagaglio di conoscenza su come funziona ciò che ci circonda e ricerca applicata che è ciò che propriamente interessa le aziende che vogliono, per un certo periodo, poter sfruttare in esclusiva un certo principio, per i loro prodotti.

A doppio filo le questioni della produzione scientifica con le forme della loro divulgazione, e gli avanzamenti nelle carriere universitarie. La ricerca prodotta, deve trovare la sua forma di apprezzamento nel mondo scientifico-accademico, per produrre quelle promozioni che permettono di dirigere un gruppo di ricerca, e quindi vedere, le proprie idee trovare credito amplificato dal maggiore potenziale di ricerca che un gruppo può esprimere, riuscendo a trarre il meglio da quella certa nostra intuizione. 

Conferma più agile della scientificità di quanto intuito e ampliamento dei campi di utilizzo di quel certo principio, ricaduta pertanto sulla vita di ogni giorno, persino a scala planetaria. Miglioramento della qualità di vita dell’umanità.

Un patrimonio di saperi che tanti provano ad accaparrarsi, per trarne vantaggi molto simili alla rendita di posizione, quando si acquistano, sostanzialmente, i diritti a far di quel nostro lavoro, ciò che si vuole. E’ ciò che avviene quando cediamo ad un editore il diritto a pubblicare che, stranamente siamo noi a pagare, proprio perché ci giova per essere valutati e promossi se lo meritiamo.

Non secondario poi è l’effetto dovuto alle regole della valutazione della docenza universitaria in cui, il dato quantitativo prevale, per via delle leggi in atto che, come evidenziato dalla maggioranza di coloro che presero la parola, ha un effetto devastante proprio sulla ricerca, perché sposta la motivazione del pubblicare. Avviene cioè che pubblico perché mi giova un certo numero di pubblicazioni per essere promosso alla fascia successiva di ruolo che comporterà più risorse per me e le mie idee. Cosa avviene di negativo? Non sto pubblicando il frutto delle mie intuizioni, che non son tantissime, in una vita da ricercatore, ma sto rimestando e centellinando, per far numero, il che è proprio tutto l’opposto dell’Open access.

Se ne trae, avendo ascoltato, tante sagge “chiacchere”, che altri quadri istituzionali debbono tornare ad essere gestiti in prima persona dai soggetti pubblici, gli unici in grado di una adeguata salvaguardia dei diritti dei ricercatori ed al contempo della virtuosità intrapresa in quei primi open access che tanto fecero progredire la ricerca grazie proprio a quello scambio genuino e collaborativo, finalizzato al benessere dell’umanità. iI privato, pur non demonizzato, mai dovrebbe accedere a beni di pubblico e vitale interesse: un facile esempio è l’acqua, ma ovviamente molto più è oggi vitale per l’umanità, quando i cambiamenti climatici e l’inquinamento mettono a repentaglio il futuro stesso del nostro pianeta Terra. 


Ragionare sul modo di spendere le risorse, senza per questo, tagliare ad esempio tutto il settore degli studi umanistici è quella linea di equilibrio che solo istituzioni pubbliche possono garantire, avendo l’accortezza di far progredire, assieme al monetizzabile, anche i benefici sociali.   

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