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Ritratto con affetto da fortuito incontro





Una valanga di argomenti, spunti di riflessione e convergenti nella sintesi: “qualcosa dovrò pur lasciarla come segno del mio passaggio”. Se non so citare testualmente, spero almeno di non aver travisato!

Il conferimento di senso al proprio essere al mondo è questione che riguarda tutti gli umani, anche se svariatissimi sono i modi di dar esito a questa più o meno palesemente sentita urgenza.

Per chi forma famiglia è facile si concretizzi in un trasferimento di bagaglio di esperienze perché la prole possa progredire e raggiungere soddisfazioni maggiori rispetto ai genitori. Ciò veniva in passato interpretato come movimento verso l’alto nella scala sociale: oggi il paradigma non regge più di tanto, che altri sono i sensi percepiti della realizzazione del se stessi.

Chi invece ha passioni verso attività che ben gli riescono, si prodiga a far crescere la consapevolezza di quel determinato ambito della conoscenza, al contempo facendosi affascinare da mondi più nomadi che gli passano accanto e da cui per un certo periodo di tempo ci si può sentire,  in parte coinvolti: contagiati!

Grazie a ricettori attivissimi, si attraversa il mondo e la vita arricchendosi per il tramite delle stimolazioni culturali incontrate lungo i nostri percorsi. Può accadere anche che si abbia la tentazione di cambiar vita, proprio quando abbiamo raggiunto una certa sicurezza che riguarda la certezza del futuro. Ebbene sì, è proprio allora che, raggiunto un obiettivo, ci sentiamo pronti per nuove sfide: è come se la pratica del vivere e del lavorare siano capaci di darci con maggior precisione la misura di cosa realmente renda pieno il senso del nostro esistere.

Di ciò in cui siamo impegnati, ci interessa una parte più precisa, specifica, ed è sempre quella più congeniale al nostro essere, all’indole, sicché scarteremmo volentieri il resto. Nelle sfide, un eccesso di variabili che potrebbero essere costituite dagli altri con cui dobbiamo rapportarci, esitano alea nel procedere, mentre quando siamo noi soli ed il soggetto della nostra indagine, è l’enigma che circuiamo. Abbiamo acquisito tecniche d’indagine che ad ogni passo affiniamo e che ci portano a comporre un puzzle in cui anche essendovi un notevole numero di tessere mancanti, siamo in grado di immaginare con grande esattezza l'esito della composizione a venire.

Chi si occupa di lacerti di passato ha queste magiche capacità, che sono un misto di intuizione e di esperienza, per riportare alla luce frammenti di mondo che contribuiscono al nostro grado di consapevolezza sul da dove veniamo. Chi si occupa di simili questioni sente con più forza di altri l’esser parte di una umanità in cammino e senza timore attraversa tempi in lungo e largo.

Si! Tempi, ancor più che spazi. Credo che ciò faccia sentire tali speciali creature oltre che più pienamente partecipi dei destini dell’umanità, anche serenamente pronti ad incontrare quella porzione di umanità che ci ha preceduti, anche nella destinazione ultima e perenne, perché avranno ben speso il passaggio della loro esistenza terrena, anche se, meglio il più tardi possibile allontanarsi, che: “c’è tanto da fare e poco è il tempo”.

Credo sarà una occasionalità unica e questo scritto non preluda ad altri ritratti, almeno di mia mano, però non mi dispiacerebbe incontrarne d’altri. Certo so che fu conseguenza di un incontro fortuito e di altrettanto insolite condizioni: sarà poi che sia la condizione normale in cui si scrive, ma questo lo sapranno gli scrittori, non io!

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