Il tema è quello, ma c'è molto di più, in: The Post
Il tema è quello, il quarto potere, ma c'è molto di più, in: The Post
Sembra però che i tempi, cambiati, abbiano assopito il giornalismo. Le frequentazioni dei giornalisti con i politici sono in una forma di familiarità ed amicalità. E’ incoraggiato, questo andar a braccetto, dalla pacificazione sociale seguita alle grandi vicende delle lotte sindacali ed a quella della sconfitta dei poteri della malavita: almeno così sembra.
C’è un diffuso benessere, e la guerra fredda in secondo piano, anche se prosegue l’impegno militare asiatico degli Stati Uniti. La nazione paga silenziosamente il suo obolo di vite umane nel Vietnam, alla supremazia, in cui, anche la “conquista dello spazio” ha un ruolo non secondario, nel braccio di ferro con il blocco sovietico: è la guerra fredda, che pure registrerà momenti di scioglimento delle tensioni, con la caduta del muro di Berlino.
Sono i giornalisti e gli osservatori che pure la politica invia in Vietnam a nutrire dubbi sulla possibilità di venir fuori vittoriosamente da quel coinvolgimento in un’Asia lontana ed insidiosa perché non compresa e, trascina in, paludi! È lo scheletro più pesante per gli Stati Uniti.
Qualcuno, che ne ha la possibilità, trafuga i dossier segreti sulla guerra, da cui è chiaro proprio il concetto qui su espresso. Eppure tutti i presidenti e le amministrazioni che si susseguono per decenni, continuano a sapere e mentire: ritengono obiettivo primario essere visti come la nazione prima, custode della libertà e dispensatrice di benessere.
Chi ci è stato, da giornalista, nel Vietnam e ne ha visto gli orrori, prova a scardinare il silenzio, ad uscire dalla perdita di ruolo del giornalismo nella dialettica democratica. Sul Times esce il primo articolo che denuncia le bugie dei presidenti sul Vietnam: la politica contrattacca chiamando in giudizio per violazione dei segreti militari la testata.
Nel Post, altri ritengono che si debba far piena luce. È un momento cruciale per il Post che sceglie di esser quotato in borsa per finanziarsi, con ciò rischiando di esser ancora meno indipendente.
Alla guida v’è una donna, appassionata da questo mestiere, da prima dell’aver dovuto, per necessità, dirigerlo.
Sono scelte difficili, che mettono sui piatti della bilancia rapporti di amicizia e salvaguardia del lavoro di tante persone da una parte, sull’altro, il ruolo principe del giornalismo: l’essere vigile difensore della democrazia facendo prevalere la verità.
Non è semplice in tale contesto far la scelta vincente e giusta: la grande testata del Times è già stata chiamata a difendersi dalla grave accusa di aver intrapreso una via che la politica giudica pregiudizievole per gli equilibri mondiali.
Molti dubbi ed in più momenti, opposte argomentazioni, sempre in fasi concitate, per successivi passi, quasi un minuetto si stia ballando, viene messo in discussione un mondo di relazioni e persino di affetti familiari. Non sono secondarie queste questioni perché anticipano quel cambiamento che investirà il mondo intero.
La maggior parte di ciò che sta scritto qui su, è informazione sul contesto che aiuta a gustare al meglio la vicenda che, invece, lascio sufficientemente intatta e da scoprire, al magistrale ed ottimamente ritmato esprimersi del bel film di Steven Spielberg.
Una presa di coscienza ed una determinazione mai dimostrata con tanto coraggio, in passato, produce quel cambiamento. Tutto il giornalismo si risveglia, l’opinione pubblica già desta, scende in piazza. Come si usa dire in questi frangenti: “Il mondo non sarà più come prima!”
“Phil diceva che una notizia è la prima bozza della Storia”
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