Quel che resta della mafia a Messina: la scalata dei "barcellonesi"
L'ultima relazione semestrale della Direzione Investigativa Antimafia relativa alla mafia messinese, denota come la criminalità organizzata peloritana subisca sempre più l'influenza da parte di organizzazioni di stampo mafioso delle zone limitrofe (‘ndrangheta, barcellonesi, etc).
La provincia di Messina è segnata dalla pervasiva presenza della criminalità organizzata di tipo mafioso diversamente strutturata, a seconda che risulti omologata al “modello” vigente nelle aree limitrofe, sia esso palermitano, catanese o calabrese. La criminalità organizzata messinese, infatti, sebbene autonoma, subisce l’influenza sia di cosa nostra che della ‘ndrangheta, con le quali intrattiene e coltiva rapporti ed alleanze attraverso personaggi ed intermediari di riferimento, in molti casi strumentali a logiche affaristiche. A fattor comune, pur continuando a registrarsi dinamiche relazionali ancora caratterizzate da una spiccata fibrillazione, la dislocazione sul territorio delle consorterie rimane sostanzialmente immutata rispetto al semestre precedente.
Il territorio messinese affacciato sul Mar Tirreno risente dell’egemonia del sodalizio mafioso cosiddetto dei “barcellonesi”, che si caratterizza per la forte rivalità interna e risente ancora degli effetti delle collaborazioni e dell’efficace attività di contrasto. Privata dei suoi esponenti di vertice, l’organizzazione sembrerebbe aver in parte perso il suo ruolo di primazia tra i gruppi criminali della fascia tirrenica. Le sue attività criminali, condotte da giovani leve spregiudicate, sarebbero per lo più finalizzate al sostentamento dei numerosi affiliati in carcere.
In questo senso, come già evidenziato nel corso della precedente Relazione semestrale, la “scalata”, verso posizioni di comando, da parte delle nuove generazioni criminali investigate nell’ambito delle varie tranche dell’operazione “Ghota”, sta trovando riscontro nelle pronunce giudiziali adottate nel periodo in esame dal Tribunale di Messina, che confermano il citato impianto accusatorio.
Proseguendo nella descrizione del territorio, nella “zona nebroidea”, le cui consorterie criminali sono balzate all’attenzione nazionale a seguito dell’attentato in danno del Presidente dell’Ente Parco dei Nebrodi, si registra ciclicamente una certa vitalità. In tal senso, nel semestre, sebbene non sia al momento chiaro l’obiettivo del gesto intimidatorio, ignoti hanno dato fuoco all’Ufficio Informazioni di un’associazione operante all’interno del Parco.
È noto come la vocazione agro-pastorale dell’area abbia polarizzato gran parte degli interessi dei sodalizi che, nel tempo, avrebbero messo a punto un complesso sistema fraudolento per intercettare indebitamente fondi pubblici. Tuttavia, la corale attività di prevenzione - che ne ha consentito l’individuazione e le conseguenti azioni repressive - nonché l’ulteriore intensificazione dei controlli e le conseguenti azioni repressive, risultano senza dubbio fattori destabilizzanti per le mafie locali.
Non vanno comunque trascurati alcuni segnali, anche se non connotati da profili mafiosi. Nel semestre, la propensione ad usurpare le risorse ambientali è emersa anche in esito a puntuali verifiche sul comparto zootecnico da parte della Polizia di Stato. Il mese di dicembre è stata, infatti, sgominata un’associazione per delinquere finalizzata al furto, alla macellazione clandestina nonché al maltrattamento di animali costituita da allevatori, macellai e veterinari che avrebbero garantito, mediante false attestazioni, la regolarità sanitaria delle carni.
Ad ogni modo, l’ingerenza della criminalità organizzata non sembra risparmiare neanche l’economia di questo territorio, attraverso le più tradizionali attività illecite, quali l’estorsione e l’usura. Queste ultime, insieme al traffico di stupefacenti, costituiscono un valido canale per ottenere liquidità, necessaria al sostentamento di sodali e familiari oltre che per reinvestire capitali in operazioni illecite. Di contro, non è mancata l’azione di contrasto della D.I.A. di Messina che, nel mese di luglio, nell’ambito di un’attività coordinata dalla locale Procura, ha eseguito la confisca131 di cinque unità immobiliari, cinque beni mobili e tre aziende, per un valore approssimativo di 1,5 milioni di euro, nei confronti di un imprenditore di Caronia (ME), esponente della famiglia di Mistretta, nota per essere operativa nella zona tirrenica-nebroidea della provincia peloritana.
È del successivo mese di ottobre, invece, il sequestro operato sempre dalla D.I.A., di un immobile ubicato nel messinese, del valore di oltre centomila euro, nella disponibilità di un sodale del gruppo TRISCHITTA di cosa nostra, ritenuto mandante di un omicidio di mafia.Per quanto concerne il traffico di droga, nel periodo di riferimento si conferma il fervente attivismo di soggetti contigui alle famiglie mafiose tortoriciane operanti nell’omonimo comprensorio e da tempo in affari col clan MANGIALUPI (attivo nel centro storico) e con la ‘ndrina “NIRTA – STRANGIO”.
Sempre nel semestre, è emerso anche il coinvolgimento di un esponente di spicco della famiglia BONTEMPO-SCAVO nella produzione di sostanze stupefacenti. Dall’analisi delle diverse risultanze investigative, si continua, infine, a rilevare una persistente stretta correlazione tra la criminalità “organizzata” e quella “comune”, quest’ultima prestatrice di manovalanza per la commissione di azioni criminali di basso spessore, come le estorsioni, le rapine e lo spaccio di stupefacenti.
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