Azzurri, addio ai mondiali: il flop del calcio italiano
Coloro che si stupiscono di fronte all'eliminazione degli Azzurri ai mondiali di calcio, probabilmente sono in male fede oppure non hanno fatto caso alla parabola discendente del nostro sport nazionale. Partendo dalle squadre di club: escludendo la Juve, le altri grandi (in particolare le milanesi) non riescono più ad essere competitive a livello internazionale. L'addio di Berlusconi e Moratti, con le cessione di Milan e Inter al mercato asiatico, ha probabilmente sancito l'inizio della fine. Da un decennio almeno i club italiani non fanno più la parte del leone durante il calcio mercato.
Rammento gli anni '80 e '90 quando tutti i migliori giocatori del mondo approdavano in Italia (Maradona, Rumenigge, Falcao, Platinì, Zico e Van Basten per citarne qualcuno). Il nostro campionato era davvero il più bello del mondo. Nel Belpaese circolavano più soldi, di conseguenza si dava maggiore importanza alle passioni in termini di spesa. Oggi è semplicemente utopistico anche solo immaginare Messi o Cristiano Ronaldo in un club della Penisola.
Quanta nostalgia ricordando quando le partite (di A, B e C) si giocavano tutte la domenica pomeriggio; a quel punto era quasi piacevole giocarsi due collone nella schedina del Totocalcio. Oggi in virtù delle dirette televisive e del calcio-scommesse tutto è cambiato. In tal senso le discussioni da "bar dello sport" non lasciano spazio ad equivoci, tutti convergono sul fatto che oramai il calcio è un business: arbitri, allenatori, presidenti e giocatori sono tutti potenzialmente corruttibili.
A proposito di business, l'eliminazione anticipata dai mondiali comporterà un bel danno economico a livello di sponsor per la Figc; anche in Rai non faranno salti di gioia visto che ne detengono i diritti televisivi. Personalmente mi consolerò facendo il tifo per la Serbia di Lippi. Restando in tema di grandi allenatori, per la successione di Ventura, circolano i nomi di Mancini, Allegri, Conte e Ancelotti; anche in questo caso molto dipenderà dall'ingaggio offerto dalla Figc. La domanda da svariati milioni di euro è: quanto siamo ancora disposti ad investire finanziariamente sul pallone?
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