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Fratelli ultras: la curva soffre, urla, lotta

"Non ha importanza dove si è nati, quando come e dove si sono avuti i primi approcci con il calcio, - diceva Pier Paolo Pasolini - per diventare un appassionato, un tifoso. Il tifo è una malattia giovanile che dura tutta la vita." Nella curva avviene una comunicazione “altra”. E' chiaro che attraverso il tifo nello stadio, si prova a ricostruire anche il fenomeno della propria città (modi di dire, di pensare, stile di vita, abitudini), nonché le attività sociali che legano gli ultrà alla città di appartenenza.

Nella curva si innesca un meccanismo fortemente solidale “unione di ragazzi, indipendentemente dal proprio orientamento politico, o estrazione sociale, il cui unico obiettivo è di parteggiare per la propria squadra del cuore“ (NdR). Si diventa idealmente “fratelli”: soffrire insieme, urlare a squarciagola, lottare contro il nemico oltre la “barricata”, aspettando ansiosamente la vittoria della propria squadra.

Il “tifo” è un fenomeno coinvolgente negli stadi, per cui “non esiste squadra più forte che regga senza un ultras che la sostenga sempre, dovunque, comunque, in particolar modo nelle sconfitte”.
Lucia Cava

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