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Politica e Formazione: un percorso virtuoso (prima parte)

Protagonista principale della azione di smantellamento dell’istruzione pubblica è la politica: quella che ieri perpetrò tale azione prima collocando dentro la legge Gelmini i tanti detonatori a tempo che, tassello per tassello, hanno eroso nei fatti il diritto allo studio. All’Università nelle figure dei suoi Rettori principalmente è stata consegnata la scaletta delle restrizioni delle risorse facendo passare quelli che in passato furono finanziamenti correnti e per tutti, come premialità.

Bisogna scardinare alla base questo impianto aziendalistico, ricordando che il prodotto da misurare, eventualmente, sarebbe il trasferimento di cultura dalla docenza ai discenti. Ebbene, si provi qualsivoglia informatico a costruire un algoritmo capace di oggettività, anzi, come costantemente si dimostra, alcuni correttivi agli algoritmi per la valutazione del voto di base alla laurea dello studente, amplificano le diseguaglianze, fingendo oggettività. Proviamo a dimostrarlo!

Ad esempio, il parametro brevità del tempo in cui l’acquisizione degli esami è stata conseguita, vediamo cosa produce. Valutata molto positivamente la brevità di tempo (velocità) che di per se ciò potrebbe non apparire male, se gli studi fossero calibrati sul tempo pattuito all’iscrizione, proviamo a vedere come si estrinseca. Guardiamo a cosa avviene per garantirsi il miglior moltiplicatore della media dei voti: svolto con lentezza il primo ciclo, la laurea triennale, lo studente che volesse velocissimamente conseguire la Magistrale, ha strategie di sicuro effetto da giocarsi. Intanto, non si iscrive subito dopo aver ultimato gli studi triennali alla magistrale, ma mette a frutto quel quasi anno tra l’uscita ad anno accademico iniziato e nuovo anno accademico per frequentare i corsi, talché, al suo primo anno di iscrizione alla Magistrale possa seguire i corsi del secondo anno e, appena possibile, dare le materie frequentate prima di iscriversi.

Ebbene, questo escamotage permette di avere un vantaggiosissimo coefficiente moltiplicatore per il voto di base alla laurea Magistrale. Ecco raggiunto l’obiettivo di proporsi al mercato del lavoro con credenziali ottime, quanto drogate. Se il parametro doveva negli intenti misurare la capacità dello studente ad apprendere bene e in un tempo breve, ebbene, il tempo non è stato breve, è stato infatti solo sottratto al conteggio ufficiale che tiene conto ovviamente del percorso istituzionale (da iscritto). Ora, possiamo elogiare la furbizia, certo non esser fieri dell’onestà intellettuale (tanto desueta ormai) di tali nostri studenti.

Sia chiaro, non son loro studenti sul banco dell’accusa, bensì, un perverso dispositivo che mostra cecità nei confronti della realtà. Personalmente, anche l’enfasi sulla velocità come valore, nel momento della formazione, trovo sia incongruo, allorché fosse, come giusto che sia, la capacità di intersecare i saperi e non il loro eventuale appiccicaticcio ingurgitamento a valere. Per fortuna la gran parte sana dell’università sa valutare. Ovviamente il budget di tempo da impiegare è quello pattuito con lo studente all’iscrizione. Un corso di laurea triennale è in tre anni che deve poter essere compiuto dalla maggioranza degli studenti che sapranno autoselezionarsi per il percorso a loro giusto.

Purtroppo, tali virtuosità risultano alla fine penalizzanti perché tale valore, non produce valore aggiunto alla formazione del voto di base di laurea. Il buon voto non riesce a competere con l’effetto moltiplicatore della “velocità” che fa balzare anche una media non brillantissima. Ecco allora che già in un esempio che poteva essere guardato come bug marginale del sistema, si radicalizzano invece comportamenti sostanzialmente dissuasivi nei confronti della formazione dell’individuo.

Una ultima osservazione giova per anticipare il giustificazionismo basato sull’argomento: se i nostri studenti così possono accedere a migliori ruoli ed assunzioni lavorative, benvenga. Ebbene, non mi sento di sottoscrivere questa resa, questa sconfitta del mondo della cultura succube degli ottusi burocraticismi, poiché così si sta svendendo l’etica della formazione, prima ancora di quella dell’istruzione, ed alla lunga, ma non ci vuol tanto, la coesione sociale.

Il mondo accademico ha come compito l’essere faro sociale, ad esso, nel passato, è stato attribuito il compito di inventare il futuro, oggi, stritolato nella morsa di sbandierate meritocrazie, drogate, come abbiamo testè dimostrato, si converte a seguace della deregulation innescata scientemente dalla politica per plasmare futuri situazionisti (leggi opportunisti)?

Se questa è la società che la maggioranza degli italiani volesse o vuole, l’avrà: allora, non capisco il recente voto alle elezioni nazionali. Se invece il segnale del recente voto è da leggere come uno stop all’immiserimento della nazione: l’Università può tornare a farsi portavoce di positivi valori, a partire dall'adoperarsi per far incontrare la domanda di istruzione con l’offerta che eroga. Soprattutto, far emergere quella domanda che non riesce ad esprimersi perché non trova una laurea componibile con i pochi o tanti interessi di ciascun singolo candidato.

L’Università a cui vorrei iscrivermi è l’inchiesta che ci piacerà intraprendere da queste pagine, ma sappiamo anche che non può essere frutto di improvvisazione, pertanto bisognerà costruire l’humus su cui fondarla, per far si che i desideri non siano scomposti e sviliti nelle possibilità di attuazione. Bisognerà essere capaci di fantasia ed al contempo avere capacità da prestigiatori, per poter far fruttare il doppio ciò di cui si è già dotati, ad esempio gli insegnamenti già esistenti e quelli a volte molto qualificanti e purtroppo con pochi studenti. Bisognerà anche disinnescare tutti quei deterrenti che le leggi hanno disseminato per rendere impraticabile la fantasia.


Come si comprende, non siamo quelli del tutto e subito, e nemmeno quelli del mai. C’è da catalizzare le forze e le idee migliori soprattutto quelle capaci di snidare i bug impeditori e distruggerli.

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