Politica e Formazione. Riflettere su un fenomeno: facendone parte
Non rinuncio a mettere anche questo scritto sotto il, per me inscindibile, binomio “Politica e Formazione”. Mi giunse, come ormai da tanti anni avviene sostanzialmente a tutti i connessi in rete, l’ennesima petizione con richiesta di firma e possibilità di lasciare un commento.
Mi accinsi, a commentare, preso da due questioni che trovai frutto di ingenuità o superficialità: mi scuserà chi si sentisse direttamente additato, credo nella buona fede, ed ancor più, proprio questo mi terrorizza e mi fa pensare: come siamo cambiati: chi ci sta cambiando? Ancora più convinto, un chiarimento mi sembrò necessario per marcare un fondamentale distinguo sul cosa richiedere per risolvere lo specifico problema, dal momento che anche da ciò passerà la società che contribuiamo a formare e che andrà in eredità a chi ci seguirà generazionalmente.
Mi accinsi, a commentare, preso da due questioni che trovai frutto di ingenuità o superficialità: mi scuserà chi si sentisse direttamente additato, credo nella buona fede, ed ancor più, proprio questo mi terrorizza e mi fa pensare: come siamo cambiati: chi ci sta cambiando? Ancora più convinto, un chiarimento mi sembrò necessario per marcare un fondamentale distinguo sul cosa richiedere per risolvere lo specifico problema, dal momento che anche da ciò passerà la società che contribuiamo a formare e che andrà in eredità a chi ci seguirà generazionalmente.
L’argomento: lo “scorretto” comportamento di studenti nei confronti dei loro insegnanti.
La richiesta, come di tante petizioni, ed indirizzata al Presidente della Repubblica, di “regole punitive esemplari”. Nella petizione, correttamente si rendevano noti alcuni dati tra cui il “migliaio di studenti” formante la “giurisdizione del Preside”, chiamato ad applicare regole e persino la “sospensione con obbligo di frequenza” per gli studenti non intervenenti a favore del malcapitato. Quanto meno, capziosa, la formula, ma, in tempi di “garantismi”, accade anche ciò per evitare che le assenze dei sospesi gli facciano “maturare” la perdita dell’anno scolastico.
Altro termine che ha richiamato la mia attenzione, un, pur “en passant”, accenno alla scuola come “azienda”. Ciò che accade nella petizione è che poi la virata è sulla “esemplarità delle punizioni”.
Ecco ora il mio riflettere facendo parte del “fenomeno”: la perorazione della causa sterza sul facile da condividere, di pancia, “l’esemplarità della pena”, ed è qui che si appunta la mia attenzione. Si chiede solo una azione a posteriori e mi vien da pensare a quanto più utile sia prevenire anziché curare, come si userebbe fare in uno Stato Civile che si rispetti ed in cui non si lesinerebbero danari per tale obiettivo. E continuo a riflettere su come i deterrenti non saranno le pene, ma soprattutto, ancora, su: cosa la società civile vuole ottenere? Dovremmo già sapere che la congruità della pena, semmai, risulta sfida a chi è entrato nella spirale della violenza: la pena è percepita come sostanziale impunità, visti anche i garantismi che, bene che ci siano perché errare è umano e comunque la pena, quale che sia non è significativamente dissuadente anche perché non certa.
Ricordiamo poi che, spesso, la pena spinge il novizio della trasgressione, rivelante disagio sociale, verso la vera scuola di perversione: questo son le carceri e tutti quei luoghi a margine della società, dove i rifiutati trovano “famiglia” ed “addestramento” per più incisive azioni eversive.
Il fallimento sostanziale degli istituti di pena come luoghi di rieducazione di incalliti è palese, ma chiaramente il sovrannumero dei reclusi ha la responsabilità maggiore.
Sui due termini, “famiglia” ed “addestramento”, costruisco la parte conclusiva della riflessione: l’insoddisfatto, il disilluso, si aggrega ad altri in simili condizioni e trova persino la compiacente omertà degli altri che pure non hanno fatto il passo della ribellione palese e di denigrazione e vilipendio a ciò che viene percepito come potere da abbattere. Il nocciolo della questione sta qui, nell’azione possibile di contrasto alla formazione di queste famiglie e luoghi di addestramento al delinquere.
Ecco allora che più importante appare smontare il concetto introdotto di scuola come azienda, con tutte le negatività che vi si riproducono, per tornare invece a plessi scolastici di dimensioni tali per cui ciascuno ha la reale possibilità di entrare in rapporto diretto, individuale e giornaliero con la totalità degli appartenenti alla comunità. Differentemente non v’è comunità. Con quest’ultimo termine, “comunità”, indico la strada che passa per una saggia economizzazzione in termini non apparentemente convenienti finanziariamente. L’economizzazione economicistica del potere è apparente perché poi, i costi sociali, comunque, in qualche maniera, la collettività li paga e son costi che hanno ripercussioni negative sullo Stato tutto.
Imputo all’abbandono dell’analisi costi/benefici, da parte degli economisti, la causa dei danni a cui assistiamo e di cui invece dovremmo occuparci. L’analisi costi/benefici fu, una delle mie acquisizioni d’affezione tra quanto ottenni di formazione dalla mia “Scuola”, in Estimo ed esercizio professionale, proprio per quella sua apertura ad un quadro più ampio di effetti indotti da una azione e, particolarmente, in ambito sociale, ove si forniscono servizi ai cittadini ed il rendimento sta lì, in ciò di cui i cittadini beneficiano.
Pertanto, le petizioni, ritengo, persino presuntuosamente, debbano occuparsi di parlar meno alla pancia e più al cervello dei cittadini. È pericolosissima la strada di un comune sentire, di pancia, che si rivolge ai poteri forti e chiedendo repressione. Una linea che apre la strada agli autoritarismi e, non esagererò: ai fascismi.
Quindi: davvero più cura vorrei si prestasse nel formulare le petizioni, ed anche più responsabilizzazione dei gruppi che gestiscono le varie piattaforme che ce le fanno giungere sulla nostra posta elettronica. Dovrebbero, le piattaforme, essere garanti delle libertà, essendo politicamente schierate, talchè ciascuno possa avere chiara la ideologia a cui aderisce con il suo atto di firma che, è molto più dello specifico di cui volta a volta si tratta: è una adesione culturale, chiamiamola così, se si vuol ancora far passare la favoletta della fine delle ideologie. Casomai, v’è, in atto, uno spostamento verso una sorta di pensiero unico monodiretto: il qualunquismo di cui la superficialità (causa ed effetto ad un tempo) è responsabile e che produce dittature.
Nel caso delle minacce degli studenti ai docenti, la richiesta ritengo debba entrare nello specifico, chiedere con determinazione la rimisurazione dei plessi scolastici, ossia renderli fruibili nella forma della vivibilità comunitaria. I paventati maggiori costi, in epoca informatica, avranno altre vie per la condivisione di alcuni servizi tra più plessi scolastici, perseguendo economie di scala.
Dove invece non c’è proprio economia di scala che tenga è nei rapporti umani diretti che vanno incentivati entro gruppi in cui, ripeto, il rapporto interpersonale è continuativamente garantito al fine di agevolare legami di amicizia solidi, liberamente istituentisi per affinità di interessi: ciò è fulcro della formazione dell’individuo alla socialità. Poco d’altro, la libertà ad esempio che pure è uno stato continuamente riconquistabile, oltre l’educazione alla socialità, trovo sia di maggiore e più importante necessità, nella contemporaneità e poi, sempre, in fondo: è lo scopo ed il senso del nostro essere qui, ...di passaggio!
Come scrisse il Saggio e Sommo Poeta: “Fatti non foste per viver come bruti ma per seguir virtude e conoscenza”. Scriveva della vita che è scuola!
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