Vagabondaggi e affinità elettive con HKM in: “Van Gogh. Tra il grano e il cielo”
Quanto Luigi Tenco conosceva di Vincent Van Gogh? Sono gli autori del più recente film su Vincent Van Gogh ad aver consapevolmente stimolato questo legamento sinapsico o scatta solo nella mia mente, il legamento tra il sottotitolo del film e la premessa al ritornello dell’ultima bella poesia in musica di Tenco? Così recita: “...dai campi di grano, agli aerei del cielo” e poi, rapisce con quel “ciao amore, ciao amore, ciao amore ciao” insuperato, profondo, addio ad un mondo in cui la poesia faticava ad esser popolare, pur essendolo radicalmente.
Helene Kröller Müller è tredicenne quando Van Gogh mette fine, trentasettenne, alla sua avventura terrena. Di lui dirà: l’arte ha due strade ora, quella della tradizione e quella di Van Gogh. Che non fosse troppo lontana dal vero quella affermazione, lo conferma l’amore del pubblico per la pittura di Van Gogh, per quella pittura che esplode in mille colori, come non mai prima con tanta veemenza che è passione per tutto ciò che ritrae, un farsi uno con la natura mentre la dipinge, coglierne la vitalità, dall’interno.
È questa ricerca delle luci che più accendono i colori, uno dei motivi del vagabondare: andare verso i luoghi ove la natura emerge con impeto e probabilmente è questo tipo di affinità che sente con Paul Gauguin che però preferirà andare lontano, nelle isole polinesiane a ritrarre altre luci e cromatismi. Una affinità temporalmente in sincrono dal cui abbandono Van Gogh sente più forte la solitudine che è assenza di condivisioni e, scientemente, immerso nella natura di un campo di grano, prende congedo, anche se avrà la forza ancora di rientrare nella sua stanza e trascorrerà una notte a parlare con il fratello, sopraggiunto.
Ciò avviene quando è tornato dal sud, dalla Provenza, ed è vicino a Parigi: produce qui l'ultimo ciclo di dipinti in cui il colore si “stinge” nella pioggia. Splendide tonalità rarefatte, sembrano preludere alla chiusura del ciclo vitale. Lo abbiamo apprezzato per la ricerca sempre superante se stessa con cui ha assorbito tutto ciò che nel lavoro degli altri pittori c’era di possibile contributo alla sua espressione. Semplice da citare il passaggio dal divisionismo puntinista di Paul Signac e Georges Seurat alle piccole pennellate allungate con cui Vincent produce nuovi colori, per accostamento, anziché per mescolanza.
Il Van Gogh con cui è in profonda unione spirituale, la Helene Kröller Müller, che alla sua arte consacra tanta parte e tante risorse della sua vita, è il Van Gogh umano. È l’umanità di Van Gogh ad essere sentita vicina, condivisa, da Helene che sceglie un luogo lontano dalla città per il museo dedicato alle opere di Van Gogh.
Il museo olandese dedicato principalmente alle opere di Van Gogh è la più significativa raccolta di sue opere: i quadri, e soprattutto i disegni che, messi in mostra per brevi periodi, essendo molto sensibili alla luce, svelano quanto profonda fosse la penetrazione nell’animo umano dell’autore dei mangiatori di patate che son gli stessi umili ritratti a coltivarle, a sostanziare il ciclo: semina-crescita-raccolto. Nel museo Helene accoglie con grande sensibilità anche opere di tanti altri artisti che lui sentiva vicini ed anche di quelli che lei scoprì, vicini a lui. Una dedizione propria di quelle relazioni che Goethe descrive nel suo “Le affinità elettive”.
Affini anche nella espressione epistolare Helene e Vincent sono indagati nel film per mille risvolti accomunanti e per primo nella ricerca di assoluto, vissuto come vera religione, non di cartapesta e formalismi. Dal grano al cielo è allora l’analogo di: dal terroso al celeste e proprio con due stralci di tale polarità, resi “irriconoscibili” i quadri, mi piacque illustrare.
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