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Franco Arminio: conversazioni con...



Sotto il titolo: "Ri-guardare la bellezza. Etica ed estetica del paesaggio", si è avviata la conversazione tra il poeta Franco Arminio e Fulvia Toscano, ha letto brani e poesie dai libri, Mauro Curcuruto di "Naxos Legge".

Arminio è conosciuto come paesologo, avendo scelto di abitare in un piccolo centro quando non si muove in lungo ed in largo, per promuovere la tendenza al ritorno ai paesi come luoghi da abitare, perché più agevolanti il fare comunità. Questo, con le sue domande, spesso fatte veicolare ai brani anche di altri autori, letti-recitati da Mauro Curcuruto, ha fatto emergere la brava Fulvia Toscano, intervistando Arminio.

Grazie alle relazioni già dense tra gli abitanti che mai li abbandonarono i loro piccoli centri, il loro mondo, e le conformazioni spaziali di vicoli, piccoli spiazzi e piazza centrale del paese che ne è cuore relazionale per tutta la comunità, si perpetua il modello che è il più caratterizzante la nostra comunità nazionale, l'essere, anche fisicamente, rete di comuni.

L'Italia non ha rivali in quanto a numerosità di piccoli centri e borghi che, al contempo, ne sono la struttura produttiva più efficace, basata su centenarie tradizioni sia di specialità di coltivazione di specifiche specie alimentari che a loro volta indussero la ricca tradizione culinaria di sapori e modi di nutrirsi sani, che, di artigianato ad essa legato e non solo, sino a vantare specialissime qualità artigianali da assurgere ad arti producenti singolari e variatissime opere.

Oggi che è possibile ancora non far perdere questa ricchezza delle differenze, giova nuova linfa che si prenda cura di mantenere e rinverdire le tradizioni che saranno in grado di attuare il rilancio dell'Italia produttiva di beni materiali dotati di valenze artistiche e culturali che è ciò che tutto il mondo ci riconosce come peculiarità ed ha fatto la fortuna del made in Italy, una eredità da non sperperare.

Siamo coinvolti, i presenti, nella sala della camera di commercio, ad avere nell'ascolto delle parole del poeta, una serena visione anche dell'evento più atteso nella nostra vita, la sua fine, con un sorriso accettata nei brevissimi componimenti che Arminio ci legge e, che, quasi fossero lievi preghiere, le recita in ginocchio. 

Indubbiamente Arminio ha tratto, dalla sua scelta di vivere in una piccola comunità, ove è più semplice essere tra pari, avendo tutti funzioni necessarie alla vita della comunità, anche una serenità nei confronti della morte che, nei piccoli centri e meglio se di montagna, tardi giunge, quando altri hanno appreso il ruolo che ricoprimmo e la nostra sostituzione è stata pienamente attuata anche in termini di esperienza. Un'immagine insomma di continua trasformazione nella continuità, in cui ciascuno è parte della comunità sinché è in vita, non avendo mai il senso d'esser di peso e men che meno inutile.

Il passaggio in cui il poeta ci ha fatto assaporare il gusto dell'esser parte di una comunità nazionale variegata è stato quando ha invitato il pubblico a leggere, proprio sul tema dell'identità dei luoghi del lavoro, una poesia, ciascuno secondo il suo dialetto, essendo fortunato a trovare nel pubblico disponibilità e varietà che tutti abbiamo potuto gustare. Con tale azione ci ha offerto il preciso senso di ciò che siamo, ancora nazioni nella nazione, veicolando un tratto che ci accompagna e che è esplicito nel sottotitolo dell'evento promosso da Italia Nostra: "...visioni globali, prospettive locali", evidenti nella presente mostra sui "Paesaggi terrazzati", che ne costituisce il titolo.

Quando poi siamo stati tutti coinvolti fu nel cantare assieme, la sala e lui, alcuni popolari brani come "Azzurro" e alcuni specificamente siciliani come "Vitti 'na crozza", che ancor più hanno sottolineato come una pur lenta osmosi si è prodotta tra le differenze regionali, nella comune lingua nazionale, ma mai ciò ha, fortunatamente, soppiantato o fatto venir meno una radicata appartenenza a tradizioni locali.

Sorvolai sul dibattito con il pubblico che lungo e complesso sarebbe da riportare e commentare, riferisco invece, solo di un clima che si è instaurato e non credo di esagerare: ci è stato regalato-insegnato, almeno per quell'ora in cui siamo stati assieme, noi in sala, con la sua presenza attiva, attivi anche noi, ad essere potenziale comunità, tanto che non si è verificato il frequente rapidissimo svuotarsi della sala a conclusione, che, tutti abbiamo sentito bello poterci intrattenere con conoscenti e non. 

Scambiandoci qualche impressione ed avvicinandoci ai presenti, emerse, per quanto mi riguarda, il ritrovamento di care figure di intellettuali del popolo come Gianni Rodari e Danilo Dolci. 

Del primo, di Gianni Rodari, sottolineando la  passione inventiva in cui ci coinvolse con le regole liberatorie della sua "Grammatica della fantasia", come del secondo, di Danilo Dolci, il ricordo della maiuetica reciproca come metodo educativo, da lui praticato per far aprire ad orizzonti più vasti comunità di bambini e, tramite essi, non solo.    

   

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