Violenza di genere: "Lo stupro e le donne randagie"
Un'amica del Corsaro del Sud, la blogger Chaos La Sfinge, si esprime in merito al delicatissimo tema della violenza di genere. Con orgoglio l'autrice rivendica la natura stessa dell'essere donna e dei diritti spesso ignorati o calpestati.
Sono state pubblicate di recente dall'Istat le rilevazioni statistiche sulla violenza di genere in Italia (Rapporto SDGs 2018). I dati indicano la tendenza del fenomeno a partire dal 2004: una indagine condotta nel 2014 ha dimostrato che tra i 16 ed i 70 anni, una donna su tre (il 31,5%) ha subito nel corso della sua vita una violenza fisica o sessuale. Il 62,7% degli stupri è stato agito da un partner o un ex-partner, mentre gli sconosciuti sono prevalentemente autori di molestie (76,8%). Benché la tendenza risulti in diminuzione, la percentuale delle denunce è ancora bassa in rapporto alla reale estensione del fenomeno, come del resto lo sono i procedimenti e le condanne a carico degli stupratori. La percentuale di donne in Italia tra i 16 ed i 70 anni che hanno subito violenza fisica o sessuale nei 5 anni precedenti l'intervista, passa dal 6,6 al 4,9% tra il 2006 ed il 2014 se il violentatore è un partner e invece dal 9,0 al 7,7% da parte di non partner.
Comunque sia ogni giorno le cronache danno notizia di qualche denuncia per stupro, notizie che trovano la più alta la risonanza nei social soprattutto quando l'autore della violenza è un immigrato: la percezione che ne deriva è che lo stupro sia considerato un reato grave solo se agito da uno straniero, come se non si trattasse di un reato contro la persona-donna, ma piuttosto di un attacco contro la purezza della "razza" che a causa della promiscuità sessuale rischierebbe un "imbastardimento". Gli stupri ai danni delle donne italiane purtroppo avvengono per la maggioranza ad opera di uomini italiani e la devastazione interiore che possono produrre è indipendente dalla nazionalità di coloro che li compiono.
Con non poca sorpresa mi è accaduto di rendermi conto che un gruppo social o una pagina web contro il bullismo, possono al contempo tuonare sì contro il bullismo ma essere, d'altro canto, razziste, come se questi atteggiamenti fossero cose diverse tra loro e non riconoscessero la propria matrice comune nella primitiva logica della sopraffazione del più debole. Io non dico che la cosa non sia comprensibile sotto il profilo di realtà, visto il diverso coinvolgimento dei singoli individui nei casi specifici, però le signore mamme che hanno figlioli magari timidi e troppo ben educati, di corporatura gracile o qualunque altra cosa sia e che perciò hanno sperimentato attraverso il vissuto dei loro ragazzi il potenziale devastante di quello che potremmo definire una forma coalizzata di violenza sociale contro il soggetto più vulnerabile, non dovrebbero unirsi ai cori razzisti, sessisti ed omofobi quando il capro espiatorio designato è il/la figlio/a di qualcun altro. Solo questo, giusto per amore di logica.
Il concetto che sto cercando di esprimere è che in molti casi la violenza fisica, quale che essa sia, includendovi anche le diverse forme di violenza sessuale fino a ciò che è definibile come stupro sul piano giuridico e penale, è soltanto l'atto conclusivo, agito come conseguenza e con la copertura di una violenza sociale capillarmente diffusa ed operata in ogni dettaglio della vita quotidiana. Una ragazzina appena pubere, ad esempio, trovandosi da sola per strada, facilmente sarà accompagnata nel suo percorso da sguardi e commenti per lo più non esattamente gradevoli, ma spesso sessualmente allusivi, quel tanto bavosi e malevoli da suggerirle l'idea di una gogna, che interiorizzerà come vergogna.
Vergogna di cosa? Del suo divenire donna, del suo essere donna. Non sono solo cose di 50 anni fa: è recente la notizia di una giovane di 25 anni, Maria, stuprata ed uccisa durante un viaggio in Costa Rica. La ragazza, una cantante messicana, viaggiava da sola e questo dettaglio, oggi nel 2018, ha suscitato nei social critiche alla sua sventatezza fino al classico "se l'è cercata". Non sa forse una donna che viaggiando sola corre dei rischi? Certo che lo sa: personalmente ritengo che una donna sappia benissimo di correre dei rischi anche ad uscire per strada da sola. In realtà non è possibile vivere senza correre rischi: ci sono i terremoti, le valanghe, le onde anomale e gli aguzzini in famiglia, anche per chi volesse rintanarsi tra le mura domestiche, ma alcune donne invece desiderano vivere la propria vita e realizzare i propri sogni.
Se una persona viene aggredita fisicamente ed immobilizzata, qualunque sia lo scopo dell'aggressione, questo è da sempre un reato penale contro la persona, ma se una donna veniva stuprata fino al non tanto lontano 1996 lo stupro era considerato un reato contro la morale, alla stregua di una pubblica oscenità, senza che la legge italiana riconoscesse alla donna il suo essere soggetto, malgrado il diritto di voto conquistato già 50 anni prima, nel '45. Tanti anni fa mi è capitato di assistere proprio in un seggio elettorale ad una scenetta deliziosa, un aneddoto se vogliamo: una signora si avvia alla sua cabina elettorale ed un signore la segue, al funzionario che lo ferma, spiega convinto: "è mia moglie" e l'altro: "ah va bene!" e lo lascia entrare in cabina con la consorte...
Il diritto di voto... già, i voti servono sempre a qualcuno, ma l'essere soggetto e considerata tale, quello pare una esagerazione! Ed infatti non si riconosce ad una donna il diritto di scegliere quando, come e con chi fare sesso. Pochi giorni fa una ragazza di 21 anni è stata sequestrata, stuprata e seviziata a Parma da due uomini. Ha denunciato, ma c'è chi dice che la giovane è andata a casa del suo aguzzino di propria volontà, insomma si aspettava, forse voleva fare sesso: non so cosa voleva fare, ma probabilmente non voleva essere stuprata e torturata da due uomini.
Ammesso che una donna voglia o sia disposta a fare del sesso, questo non autorizza nessuno a stuprarla: io sono andata a fare la spesa ed avevo intenzione di pagare, infatti ho pagato il dovuto, ma se il negoziante avesse tirato fuori un'arma e mi avesse rapinata, ovviamente avrebbe commesso un reato. Il fatto che io avessi intenzione di pagare non autorizzava e non autorizza nessuno a rapinarmi e nel caso malaugurato dovesse invece accadere proprio questo, la rapina risulterebbe aggravata dalla intenzione fraudolenta di chi, camuffato dietro un innocuo esercizio commerciale, carpisce la fiducia della gente per fare delle rapine.
Dovrebbe essere chiaro, ma stranamente non lo è perché, malgrado il codice Rocco sia ormai superato da oltre 20 anni, una donna che fa sesso in fondo viene ancora considerata una poco di buono. I valori da tutelare sono quelli morali, di purezza e verginità, in mancanza dei quali una donna non è nulla: non è un soggetto, non è una persona. Ad una donna conviene piuttosto subire e tacere che rendere di pubblico dominio la circostanza di essere una creatura sessuata e capace se non addirittura desiderosa di praticare sesso.
La caratteristica più gretta ed ignobile della violenza sociale agita contro il soggetto più debole e vulnerabile, consiste proprio nella certezza o supponenza di impunità, legata al consenso del gruppo di appartenenza. "Arrestate uno come me?" si è stupito lo stupratore parmense quando la polizia è andato a cercarlo: una colonna della società, lui... c'è da pensare che la ventunenne sua concittadina, che si è decisa a denunciare grazie anche al sostegno dei propri genitori, non fosse la prima ragazzina che lui "si cucinava" a quel modo.
L'altra caratteristica ambigua nell'ambito di questo reato è la difficoltà di produrre prove oggettive del fatto che si sia trattato effettivamente di uno stupro e non di un rapporto consensuale, in particolare se la vittima non presenta sul corpo segni di costrizione o violenza. Difficilmente situazioni del genere si sviluppano in presenza di testimoni e quello che può essere facilmente obiettivabile è solo l'avvenuto rapporto sessuale. La cosa in assenza di lesioni fisiche o in presenza solo di lievi lesioni, può essere raccontata come sesso consensuale da una delle parti, il che avviene sistematicamente e finisce per rendere un calvario umiliante la denuncia delle vittime o presunte tali. Il risultato, poco auspicabile è che proprio le donne maggiormente traumatizzate, possano evitare la denuncia non considerandosi in grado di reggere emotivamente l'iter necessario alla giustizia, mentre i manipolatori interessati a lauti risarcimenti possano viceversa essere motivati a denunciare presunte e dubbie violenze.
La giustizia non è perfetta: non è neanche il caso poi di parlare dei casi di plagio e abuso di autorità, laddove la vittima è portata a subire senza dare segni di ribellione, ma che cionondimeno possono segnare profondamente ed indelebilmente una persona nella sua struttura e nella immagine che riesce a formarsi di se stessa ed a conservare per tutta la vita. Non esiste una risposta univoca e valida per ogni situazione, ma certamente lo scoglio più difficile da superare è proprio quello di natura culturale: quella mentalità che vuole la donna sorridente, fragile, gentile e remissiva, più o meno come un animale domestico, inferiore naturalmente e sottomessa. Quella mentalità che vuole misurare la virilità di un uomo proprio nella sua capacità di mostrarsi superiore e dominare una donna, tale da scatenare le reazioni più rabbiose e furibonde quando tale supposta superiorità non risulti acclarata di fatto, come quando lei vuole lasciarti, dimostrandoti che non dipende da te. Un cane senza padrone, una randagia... quella che prima del giudice, l'intera società condanna.
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