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Il "ma si!" e l’enigma dell'esser presenti, vivi! In condivisione intellettuale.






A sproposito de’: lo straordinario viaggio di T.S. Spivet ed i “rari” film che non capiamo subito o dell’utilità ad abbandonarsi alla scoperta dell’incognito. Così si titolò, infine, l’articolo, avendo io lasciato che prendesse la sua strada. Poi, come si confà ai titoli, lo accorciai all’essenza, ma più ancora si potrebbe, titolandolo: 
Ma si!

Raramente, ma accade, e quando accade si presenta così: prima non so se uscire dal cinema abbandonando la visione di film “strampalati” e poi finisce che rimango. Appello così i film che o per nebulosità dell’argomento o per assenza di concatenazione logica, da subito danno quella spiacevole sensazione di essere condotti di qua e di là senza che se ne palesi chiaramente il motivo, per un bel po di sequenze. 

Non bisogna essere giallisti per apprezzare ciò che rimane a lungo nebuloso e per cui bisogna raccogliere indizi per poi collegarli: certo ci vuol tempo e dedizione, valori di cui riappropriarsi, ed aiuterebbe, poiché, i giallisti, come gli appassionati di cruciverba, sono persone allenate a trarre godimento dalla risoluzione di enigmi. 

Può esser bello partecipare ad indagini come si vede fare anche nei telefilm del genere poliziesco-investigativo, in cui anche dei non addetti ai lavori, ma dotati di curiosità, si cimentano e spesso riescono ad essere risolutivi anche meglio degli addetti, con la freschezza del loro modo di vedere, fuori dagli schemi che il lungo retaggio può produrre. 

La chiave per uscire dalla noia ripetitiva anche in un lavoro che piace, è quella suggerita da una delle tecniche inventive rodariane: guardare alle cose come se le si vedesse per la prima volta: meglio conosciuta come “straniemento”.

Quest’ultima osservazione me la riservo per poter scrivere della necessità di cambiar lavoro anche più volte nel corso della vita, proprio come valore disarticolante il senso di noia che potrebbe prendere a far senza più curiosità o stimoli il proprio lavoro.

Direi che l’enigmistica è la chiave di volta di una sana istruzione proprio per la sua capacità di incessantemente stimolare la nostra curiosità verso mondi con cui mai saremmo venuti a contatto e men che meno avremmo immaginato potessero appassionarci così tanto da farne il nostro lavoro, fonte di sostentamento e piacere, assieme. Per ciascuno sarà differente, ed anche ciò ha una sua bellezza ed utilità, ribadita dal mai dimenticato: Il mondo è bello perché è vario!

Non siamo più avvezzi ad essere fiduciosi ad apprendere da ciò che ci risulta immediatamente ostico e “naturalmente” tendiamo a rifiutare di averci un rapporto con tutto ciò: non immaginiamo nemmeno lontanamente, cosa ci perdiamo in termini di apertura mentale e godimento.

È ciò che è differente dal nostro mondo, ciò che non ci mette subito a nostro agio, ciò di cui non sappiamo cosa avverrà subito dopo e figurarsi più in là, a destabilizzarci, e da noi, pur inconsapevoli, adepti neoconservatoristi,  si attiva la ribellione all’eccesso di incognite.

L’incognito ha ripreso a farci paura, proprio come da bambini, eppure bambini non siamo più, ma tali ci vuole l’economia del mercato: insicuri e spesso inclini ad autogratificarci. È il: ma si! che, ammiccante, risuona da un noi fuori da noi, inquadrato dall’interno di un frigorifero a sintetizzare al meglio la situazione.

È la stessa pubblicità  che ci offre la chiave, ormai sicura che noi abbiamo già superato la soglia della coscienza critica. Ecco che siamo già stati ricondotti ad esseri privi di volontà, al punto da darci direttamente, sotto forma di innocua trasgressione, il suggerimento a risolvere tutto con l’autogratificazione alimentare.

Autogratificazione anche senza nessuna motivante necessità, racchiusa tutta in quel “ma si!”, quando invece potremmo riservare una piccola porzione del nostro tempo a stare con gli altri, il che sicuramente ci toglierebbe dallo stato di vulnerabilità da isolamento: il messaggio pubblicitario torna positivo quando ci propone la condivisione con gli altri del prodotto. Ma ci sono altre e ben più coinvolgenti condivisioni, insisto! ...e provo a dimostrarlo.

Ora, la visione di film, non si può dire, secondo il più consueto senso comune, uno stare con gli altri: difficilmente ci si parla tra spettatori. Direi anche che, la condizione migliore per godere di un film è proprio la solitudine apparente, l'isolamento agevolato dalla sala cinematografica buia e magari senza interruzione della visione, ossia in tempo unico. Sempre più raro ad aversi, il tempo unico resiste ancora come pratica presso qualche cineforum, quasi fosse cosa per soli intenditori!

Eppure, non è vero che nella sala cinematografica si è soli: si partecipa ad una comune emozione e chi ha sviluppato il tipo di sensibilità che è propria del cinefilo incallito, sente la sala vibrare all’unisono. Ora, non cercate di provare questa emozione che, le emozioni non si impongono ne a noi stessi ne agli altri, ma si provano o non si provano.

Le emozioni quelle specifiche, sentite in particolari situazioni contestuali, in realtà provengono dal profondo, da una radicalizzazione del piacere a cui ci siamo addestrati con lunga pratica di certi comportamenti: semplicemente reiterando, per piacere, un qualsivoglia comportamento, con una certa regolarità. 

Meglio se ci siamo abituati da adolescenti, quando si è notoriamente spugne nei confronti della vita. Pertanto, quanto qui scrivo è rivolto principalmente a loro, gli adolescenti, che, i bambini hanno necessità  di essere accompagnati dagli adulti e così accadeva che prendevano gusto al partecipare ai concerti ed anche alla visione al cinema dei film. 

Anche se immagino possa far più facilmente breccia nella mia generazione il sentimento del partecipare assieme ad altri, nel buio della sala, ad una coinvolgente vicenda umana, e che il noi per i più giovani possa essere declinato, purtroppo, raramente. 

Un “noi”, rispetto all'affermazione dell'io, che spero però si presenti anche in forme differenti che io non conosco e sarebbe bene invece conoscere per via dell’innata curiosità generazionale di chi è rimasto adolescente convinto, almeno sotto l’aspetto dell’esser curioso di conoscenza del mondo per continuare a sentire di farne parte pienamente o almeno abbastanza da comprendenderlo.

Ebbene: del film, quando se ne dice, almeno un po’?
Direi al prossimo articolo che, questo, è già lungo così!

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