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Molteplicità: Uno, nessuno, centomila ed Ogni giorno





Confabulazioni tra l’”Uno, nessuno, centomila” di Luigi Pirandello e l’”Ogni giorno” di David Levithan.

Che è questa burla di mettere in un qualche dialogo le due opere, distanti nel tempo e di cui è nebulosa la possibilità che il testo pirandelliano abbia una qualche responsabilità o ascendenza?

Eppure a me accadde di accostarle per quell’aspetto del mutare continuamente l’identità, anzi, proprio non averla, nel racconto di Levithan, il suo protagonista, ma, abitarne una differente, giorno per giorno.

Racconto surreale, quello di “Ogni giorno”, di una entità senza corpo, costretta ad entrare, ogni giorno, temporaneamente, in un corpo altrui ed abitarlo per ventiquattro ore. Il protagonista del libro di Levithan, mi apparve “affine”, costretto ad essere tanti altri, analogamente al protagonista pirandelliano dell’Uno, nessuno, centomila”.

Laddove, nel testo di Pirandello, il protagonista, sente di essere frantumato nelle tante immagini di se che hanno tutti gli altri, ognuno la propria, di lui: il protagonista di “Ogni giorno”, è pienamente consapevole di essere un mutante giornaliero che mantiene memoria delle sue precedenti incarnazioni. In virtù delle molteplici incarnazioni, l’entità protagonista, ha percezione di se stesso, pur non scegliendo i corpi da abitare, ma trovandocisi, a ciascun risveglio. 

La dissimetria pertanto consiste, oltre l’iniziale analogia, nella polverizzazione dell’identità subita dal protagonista pirandelliano, laddove l’entità protagonista di Levithan, sente di definirsi via via che attraversa esperienze.

Ciò che più mi attrae in questo gioco di imperfetti rispecchiamenti è il loro divaricarsi, prender possibili, infinite, strade di proseguimento degli scambi di immagini. Il potersi chiedere: cosa accadrebbe se...? risulta fondamentale per far proseguire la produttività riflessiva che quindi può attraversare tematiche le più varie, a partire da sintetiche osservazioni.

Nella contemporanea società, trovo utile interrogarci sulla nostra molteplicità. Molteplicità che non dovrebbe indurci problematiche di coerenza o incoerenza, bensì permetterci di sentirci nella pienezza della nostra libertà di vivere l’esperienza del mondo, nella sua varietà. Davvero, forse dovremmo essere meno assillati dal voler corrispondere ad una immagine che noi o altri si fecero di noi. Superato questo limite, il flusso del mondo ci sarà molto più familiare, anche quando non lo capiremo sino in fondo e potremo starci dentro da sereni abitatori.

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