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Fu ier sera, la “Prima”


Vien sempre, partecipato ad un evento, ed essendone pienamente soddisfatto, la voglia di riferire ad altri, che sia questo nostro entusiasmo, da che provenga. Segue la consapevolezza che, di quanto appreso, non ci sarà dato di esprimere che la classica punta dell’iceber, che, iceberg tutto intero è l’evento artistico. 

Quando poi, fosse uno spettacolo teatrale, a nulla varrebbe persino la sua integrale ripresa e quindi la sua riproduzione integrale per farne fruire ai più l’analogo, il suo doppio. Ebbene, va preso atto, non tanto della imperfezione dei mezzi di ripresa e di riproduzione che, ci si attende, in futuro, ancor più del nostro star lì, a seguirlo dal vivo, ci potrebbero fornire: persino controcampi, visioni in soggettiva da parte degli stessi attori e persino noi stessi dentro la scena come ormai tanti hanno esperienza con il cinema 3D, quanto dell'impossibilità di riprodurre quell'elettricità che corre tra gli astanti.

Non è la quantità delle informazioni a produrre l’emozione, bensì la sintesi, la magia di cui furono capaci, li, quella volta ed a quel modo, solo quella volta, la volta della Prima: attori, tecnici delle luci, regista, sceneggiatori, costumisti, tanti altri, e colui che scrisse la storia, le parti, su cui poi ciascuno mise del proprio interpretativo e, bene ancor più, quando in un comune sentire, scaturito da quel lavorio, fianco a fianco, lungamente, provando gli attori, limando scene ed ambientando, altri... e molto resta qui non detto, su questa magia corale.

Cosa si potrà dire del come si mossero sulla scena gli attori e del come suoni e musiche abbiano accompagnato il senso di ciò che si andava svolgendo, come un antico rotolo di papiri o pergamene. eppure ci son libri di sceneggiature che descrivono minuziosamente tutto ciò! 

Mi accorgo, avendo seguito a tratti il lavoro della scenografia, grazie all’invio che faceva il collega in whatsapp, nella sezione, il mio stato, che eventualmente solo di questa parte, “statica”, quindi ipoteticamente univocamente misurabile, potrei dire senza troppo tradire, o, persino ancor più tradendo.

Sicchè comprendendo che solo di quello, avendo cognizione, pur imperfetta, della nascita e dello sviluppo, saprei un po’ dire, mi ci provo. Va detto che un bel po di mesi prima, mi giunse la richiesta di procurar materiali di scenografia, ed Appia, Adolphe Appia, del cui lavoro ebbi frequentazione parallelamente alle opere di Heinrich Tessenow, feci giungere al richiedente. 

Passò del tempo e giunsero per la solita via, prove di relazioni tra semplici prismi tra loro collegati a formar, mi pareva, la figura della greca, si, di quella serpentina tutta linee rette ed angoli altrettanto retti che vediamo muover, come apparato decorativo, su bordi di estesi muri, a saldar superfici laddove si incontrano.

Erano i prodromi di ciò che appena ier sera stava sulla scena della prima, a definir luoghi, non solo fondale della recitazione. Son pregi dell’improprietà di ruolo. Si, chi progetta spazi nella realtà, non si scrolla questa incrostazione, per quanto la metta a tacere, ella riemerge.

Nulla vi dissi del carteggio, di elogi e timide perplessità, sapendo quanto un progettista, lavora a far suo anche il progetto dell’altro. Per fortuna vi furono interlocutori più motivati da più chiare necessità che non l’inseguimento di una bellezza artistica in se: il lavoro ad una bellezza artistica corale. 

Ora scorrono le memorie dei pezzi fotografati in terrazzo, sotto la luce del sole, li si, molto Appiani, poi, il primo montaggio nel grande laboratorio della scuola, perché si, il lavoro dell’insieme dello spettacolo è frutto dell’impegno di discenti e docenti della scuola, e quindi queste che compongono, ritagliate da me per far collage, la scenografia, tra cui si mossero gli attori, risuonarono voci, parole, suoni.

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