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Non sfuggenza, in: “La Corte”


Accadrà ancora che: volti, gesti, contatti tra mani, siano osservati e valutati come disvelatori dell’essere che più profondamente siamo? Ed anche di chi abbiamo di fronte, oltre le parole!

Per chi ha avuto modo di seguire la vicenda, anche recentemente passata su un canale televisivo,
rivedibile su RaiPlay, questa attenzione risulterà essere una delle chiavi per la lettura, o quanto meno, un invito a, riconoscere quanto di noi stessi passa per semplici espressioni del viso, ed anche altri modi di esprimersi gestualmente, e segnatamente nel rapportarci tra individui.

Le mappe che ci facciamo degli altri possono essere molto imprecise, rispondere ad un nostro desiderio, al dare “verità” a ciò che abbiamo appena intuito e che quindi è potenzialmente fallibile.
Ecco allora che diviene essenziale quanto il Presidente della Corte dice ai giurati, in merito a quanto ci si può attendere dal giudizio: non che sancisca ciò che veramente è accaduto, lo sanno solo coloro che erano presenti all’accadimento, per cui, nel dubbio, si procede al successivo ordine di giudizio che avviene trascorsi un paio di anni, nei quali, magari, la verità potrebbe anche venire a galla.

Non mi preoccupai di riferire testualmente, sperando ciascuno di voi abbia una qualche possibilità di rintracciare la scena, quindi una maggior completezza, proprio in ossequio a quanto qui proviamo ad indagare, ossia il ruolo comunicativo assolto dalla maggiore completezza espressiva ottenibile, piuttosto che il solo letterale, pur con le esatte parole. Avviene, per chi si accontentasse dello stralcio, tra il minuto 75 del film ed il 77, nella saletta di riunione della giuria, in un intervallo.

L’altro piano del racconto, quello in qualche maniera esterno alla vicenda giudiziale dell’essere i protagonisti coinvolti, in un’altra “corte”. Il Presidente ed una giurata che lo ha avuto come paziente in ospedale, si incontrano ed il Presidente ha di lei un ottimo ricordo in termini di umana partecipazione nei confronti del decorso dei malati del suo reparto, sa di aver incontrato una sensibilità corrispondente, come non mai.

Spigliati e gustosi molti passaggi, anche quando si trovano a dialogare differenti generazioni, come, con la presenza della figlia di lei all’incontro nel locale dove si videro il giorno prima.

Accurato nella sua semplicità, il procedere del dibattimento che muove per passi essenziali e chiari, dove ognuno mette la propria sensibilità a servizio dell’obiettivo da raggiungere.

I due piani del racconto, quasi un raddoppio, ma strettamente interrelati, donano ritmo e permettono di seguire al meglio l’insieme. Che poi ci sia di mezzo un premio a Venezia, nel suo anno di uscita, non può che confermarne la bontà.

Da ultimo, ulteriore conferma, non bastasse quanto su, interpretato da Claire Denamur, il brano Dreamers che prende per sonorità e testo: ancora un esercizio di attenzione, per cogliere più pienamente il dono della vita e dei suoi passaggi e nei paesaggi in cui la viviamo.

Poi, non si manchi il finale che, ovviamente, non svelo. 



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