Come ci si porge di fronte alla ricerca di un lavoro
Da oggi, e a continuare nei prossimi giorni, vi offriremo a cura del nostro lettore, professore Claudio Marchese, una disamina su come bisogna presentarsi, di fronte ad un analizzatore che ti sottopone una serie di richieste, per capire se tu sei la persona più adatta a svolgere quel determinato lavoro, sia pubblico che privato. Cominciamo dall'analisi e cura di una eventuale spersonalizzazione del candidato. "Accade che, nel fornire consigli utili, - scrive Marchese - a ben proporsi con curriculum vitae e colloqui a specifici ruoli lavorativi, si insista su una consolidata prassi selettiva per gradi. Sacrosanto il diritto delle aziende di scremare, rispetto all'assalto ai posti di lavoro di richiedenti a tappeto ed in una certa quantità, non motivati, candidati. Profili più espliciti indurebbero scelte più notarili, cosa che avviene anche se con danno, nella pubblica amministrazione, tutta presa da pudori rispetto all'attribuzione di poteri decisionali allargati ai commissari di concorso. Il privato, più pragmaticamente, non adotta la procedura concorsuale ma un articolato sistema di setacci, a volte persino più insidiosi della notabilità concorsuale a cui si tende a dar sempre più peso, quasi che i commissari non fossero capaci di valutare serenamente chi meglio giova alla struttura banditrice."
"A fronte di più pacate misure, come l'intraprendenza, valore altamente positivo, ci si attende spregiudicatezza ed a tal punto la predilezione per questa qualità è esplicita, che si viene a raccontar il come fare e come meglio presentarsi per convincere i profilatori che si è il candidato giusto. Le argomentazioni ruotano anche attorno al "farsi furbi", raccomandando peraltro di mitigare, quanto basta per essere credibili. Ad esempio, di una persona con un difetto di impositività, legato ad un tono di voce, ad un tremolio della voce, si dice: "la stiamo aiutando a superare questo problema". Sempre personalmente, ritengo che quella caratterizzazione fa parte dell'identità personale ed avrà una motivazione ed anche una forma espressiva riguardante le sensibilità personali che non andrebbero disturbate, quasi fossero difetti."
Mi chiedo, a quali valori identitari rinuncia chi si immette in un percorso di "perfezionamento". Un trattamento di addestramento alla copertura del ruolo per cui la persona è pensata da altri che, nessuno scrupolo si faranno se quel "perfezionamento" produrrà la figura ideale in quel ruolo. A che prezzo, non ci si sofferma a valutarlo, pretenziosamente certi che ciò che è buono per l'azienda è anche il meglio per l'individuo; nulla importando se così facendo dell'individuo originario poco resta, anche se, quanto basta per scatenare prima o poi crisi interiori che lo conduranno a non più riconoscersi, a sentirsi spersonalizzato."
"Da ultimo, - conclude - qualche considerazione sull'essere ormai tanti lavori, preparazione di dati perchè altri ne possano trarre utilità; ciò va fatto passare come disposizione a lavorare in gruppi di lavoro, anche se i racconti relativi all'atteggiamento da tenere, sono chiari su chi comanda e come ci si debba adeguare. Se poi si riflette sul dato di realtà, questi lavori tendono a trasformare in ricchezza i dati, le informazioni; e, sempre più comprendiamo come si stia tentando di formare due classi: i non integrati che faranno i lavori manuali e più pesanti, gli integrati che metteranno a disposizione le loro intelligenze per creare plusvalore di cui i maggiori beneficiari saranno i detentori dei capitali."
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