8:30 prima campana...
Gli anni d’oro del grande Real! Anni di attese, sogni, primi amori, aspettative per il futuro. Ho sempre paragonato la realtà scolastica ad una “strada”, che ha inizio nella prima infanzia e termina alla maturità dell’individuo, il quale, dopo un lungo excursus, è pronto per il suo ingresso nel “mondo dei grandi”.
Quanti ricordi ritornano in mente rovistando nel “cassettino della memoria”, tanta nostalgia per quei tempi passati che non torneranno mai più, ma che resteranno “vivi” nel cuore di ognuno di noi. I mitici anni d’oro, della “vecchia guardia”, dei miei compagni delle scuole superiori, dei professori. Che gioia entrare in classe e rivedere A., la tua amica del cuore, iniziando un nuovo giorno scolastico di confidenze, di allegria, di studio preso alla leggera. L’imbarazzo per il prof, gli sguardi complici con i compagni durante le interrogazioni, le distrazioni di F. Un idolo per tutti, F. dava inizio ai giochi, alle evasioni da noiose spiegazioni dei prof. “È giunta l’ora di rilassarsi, ha inizio una nuova partita a carte collettiva”, tutti possono partecipare”, erano queste le parole della “malandrina” F., che richiamava tutti noi all’ordine e alla disciplina.
L’unione fa la forza, era il “motto” di quella fantastica classe, un gruppo di idealisti alla ricerca di “non so cosa”. Il ricordo ancora vivo il periodo delle “autogestioni”, dove ci si atteggiava a “fricchettoni” sicuri di noi e contro tutto e tutti. Pronti con i nostri programmi da svolgere, volevamo dimostrare la capacità di gestirci da soli, di ribellarsi, nel nostro piccolo, al sistema scolastico esistente. Ancora ricordo il bellissimo F. D., di cui io e quasi tutte le compagne di classe, eravamo follemente “cotte”, che con la sua chitarra, sulle note di Je so pazzo, di Pino Daniele, attirava a sé, come una calamita, l’intero Istituto. Giornate e giornate di scioperi, di “filoni”, ovviamente “sgamate” dai nostri genitori. Nel corso delle contestazioni di massa, dove A. P. urlava al gruppo “o tutti o nessuno”, ecco arrivare lei, C. A., la secchiona della classe, che ci lasciava tutti lì, fuori dal cancello, attirando a sé le sue povere vittime.
Niente e nessuno ci fermava. Il proibizionismo della famiglia e della scuola, ahimè, ci rendeva più forti, sempre più uniti, perché all’epoca, per noi, ciò che contava era il divertimento, il gioco, il compito in classe “collaborativo”, il compagno anticonformista. Mio caro prof. di inglese G. B., tu l’amico psicologo, che comprendevi esattamente le esigenze dei tuoi alunni! Tu che non esercitavi potere, non stavi al di là dei banchi, ma eri uno di noi. Apprendere la lingua inglese con te era una vera gioia, mai una noia, attraverso i testi delle più famose canzoni, coinvolgevi tutta la classe. Ma come comunicare con i compagni durante una noiosa lezione di matematica? Ricordo giornate e giornate in cui, con semplicissimi foglietti di carta, da un banco all’altro, inviavamo numerosi fax (fax 1….fax 2…). Oggi esistono i cellulari, ai nostri tempi, scrivere su foglietti di carta, rappresentava la più importante fonte di comunicazione scritta. Che folli che eravamo, non ci faceva paura proprio nulla! Ridere, ridere, ridere era questo il nostro “slogan”. Compagno di scuola, compagno di niente, ti sei salvato o sei entrato in banca pure tu? (cit. testo Compagno di scuola, Antonello Venditti).
Quanti ricordi ritornano in mente rovistando nel “cassettino della memoria”, tanta nostalgia per quei tempi passati che non torneranno mai più, ma che resteranno “vivi” nel cuore di ognuno di noi. I mitici anni d’oro, della “vecchia guardia”, dei miei compagni delle scuole superiori, dei professori. Che gioia entrare in classe e rivedere A., la tua amica del cuore, iniziando un nuovo giorno scolastico di confidenze, di allegria, di studio preso alla leggera. L’imbarazzo per il prof, gli sguardi complici con i compagni durante le interrogazioni, le distrazioni di F. Un idolo per tutti, F. dava inizio ai giochi, alle evasioni da noiose spiegazioni dei prof. “È giunta l’ora di rilassarsi, ha inizio una nuova partita a carte collettiva”, tutti possono partecipare”, erano queste le parole della “malandrina” F., che richiamava tutti noi all’ordine e alla disciplina.
L’unione fa la forza, era il “motto” di quella fantastica classe, un gruppo di idealisti alla ricerca di “non so cosa”. Il ricordo ancora vivo il periodo delle “autogestioni”, dove ci si atteggiava a “fricchettoni” sicuri di noi e contro tutto e tutti. Pronti con i nostri programmi da svolgere, volevamo dimostrare la capacità di gestirci da soli, di ribellarsi, nel nostro piccolo, al sistema scolastico esistente. Ancora ricordo il bellissimo F. D., di cui io e quasi tutte le compagne di classe, eravamo follemente “cotte”, che con la sua chitarra, sulle note di Je so pazzo, di Pino Daniele, attirava a sé, come una calamita, l’intero Istituto. Giornate e giornate di scioperi, di “filoni”, ovviamente “sgamate” dai nostri genitori. Nel corso delle contestazioni di massa, dove A. P. urlava al gruppo “o tutti o nessuno”, ecco arrivare lei, C. A., la secchiona della classe, che ci lasciava tutti lì, fuori dal cancello, attirando a sé le sue povere vittime.
Niente e nessuno ci fermava. Il proibizionismo della famiglia e della scuola, ahimè, ci rendeva più forti, sempre più uniti, perché all’epoca, per noi, ciò che contava era il divertimento, il gioco, il compito in classe “collaborativo”, il compagno anticonformista. Mio caro prof. di inglese G. B., tu l’amico psicologo, che comprendevi esattamente le esigenze dei tuoi alunni! Tu che non esercitavi potere, non stavi al di là dei banchi, ma eri uno di noi. Apprendere la lingua inglese con te era una vera gioia, mai una noia, attraverso i testi delle più famose canzoni, coinvolgevi tutta la classe. Ma come comunicare con i compagni durante una noiosa lezione di matematica? Ricordo giornate e giornate in cui, con semplicissimi foglietti di carta, da un banco all’altro, inviavamo numerosi fax (fax 1….fax 2…). Oggi esistono i cellulari, ai nostri tempi, scrivere su foglietti di carta, rappresentava la più importante fonte di comunicazione scritta. Che folli che eravamo, non ci faceva paura proprio nulla! Ridere, ridere, ridere era questo il nostro “slogan”. Compagno di scuola, compagno di niente, ti sei salvato o sei entrato in banca pure tu? (cit. testo Compagno di scuola, Antonello Venditti).
Commento a: "8:30 prima campana..." di Lucia Cava, articolo del 2018 01 16
RispondiEliminaE'Antonello Venditti a campeggiare! Lui e la sua "Sara".
Si! erano gli anni di "Sara" che faceva così: "Sara, svegliati è primavera.
Sara, sono le sette e tu devi andare a scuola,
Sara, prendi tutti i libri e accendi il motorino
e poi attenta, ricordati che aspetti un bambino.
Sara, se avessi i soldi ti porterei ogni giorno al mare,
Sara, se avessi tempo ti porterei ogni giorno a far l'amore,
ma Sara, mi devo laureare, e forse un giorno ti sposerò,
magari in chiesa, dove tua madre sta aspettando per poter piangere un po'
Sara, tu va dritta non ti devi vergognare,
le tue amiche dai retta a me lasciale tutte parlare,
Sara, è stato solo amore, se nel banco non c'entri più,
tu sei bella, anche se i vestiti non ti stanno più.
Sara, mentre dormivi l'ho sentito respirare,
Sara, mentre dormivi ti batteva forte il cuore,
Sara, tu non sei più sola, il tuo amore gli basterà,
il tuo bambino, se ci credi nascerà
Sara, Sara, Sara ....
E questa breve storia, raccontata come solo i poeti cantautori sanno, in questi giorni, trova in "Romanzo famigliare" della brava Archibugi, i lunedì e martedì, su Rai uno, in prima serata, una singolare corrispondenza impersonata da: (Fotinì Peluso) che è Micol. Micol, un po Sara e persino Emma Liegi, impersonata da Vittoria Puccini, che 18 anni prima ha pure lei atteso sua figlia MIcol. Micol, frutto di un amore giovanile e responsabile del suo matrimonio. Ma le analogie con la "storia di classe scolastica" della nostra brava Lucia Cava, che, con leggerezza ed affetto fa rivivere, a quanti ne posson raccontar di simili; terminano qui. Eppure c'è un carattere comune, sono tutte e tre le storie, affreschi che ci fanno attraversare il tempo: la canzone di Venditti, lo raccontava in diretta quello scorcio di fine anni settanta, la serie della Archibugi, lo ricorda oggi e Lucia Cava interviene ad unire questi due sguardi, trasferendoli nel vissuto di una classe messinese, una rilocalizzazione di qualcosa che è realmente disseminato per tutta l'Italia: E' del '78 il 45 giri Sotto il segno dei pesci/Sara, e di analogo tema era stato Lilly/Compagno di scuola del '75, che non a caso, si ritrovano in "Notte prima degli esami" ed anche in "Questa notte è ancora nostra". Ricordiamo che questi titoli sono entrambi citazioni dal brano di Venditti e il primo, proprio del titolo della canzone, di cui è bello sapere, come si apprende dai commenti sotto il video di VEVO l'attualità dell'affetto per questa melodia-racconto.
Claudio Marchese
P.S.
è bello che la testata, sinergicamente lavori, su temi che ritornano grazie ai propri lettori. Un'empatia, foriera di una stabilizzazione di dialogo che tende a rendere il giornale, luogo di incontro anche di passioni condivise, come anche la socializzazione della scomparsa di Dolores 'O Riordan, ci ha fatto registrare.
E, "otto e venti: prima campana", che, "otto e mezza tutti in piedi" Ma, si sa, sono più lento.