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Esiste la leggerezza ed anche l’esilarante, con misura, in: “Parigi a piedi nudi”




Certo, è l’impossibilità di esprimere secondo schemi consueti l’anima poetica tanto cara agli amanti di Parigi a far uscire dalle righe anche chi tenta di descrivere e prova a dire perché dovrebbe esser bello far questo incontro con una filmografia quanto meno inconsueta. Inconsueta ma non senza ascendenti, che anzi, gli autori ci tengono a rivelare la loro passione per il cinema di Jaques Tatì, il grande mimo francese che ricordiamo nei suoi capolavori di regia filmica, tanto più comunicanti quanto più manca la parola. 

Un atto di fede nelle origini, necessariamente mute, all’inizio del cinema, tanto che lo si proiettava in sale ove un pianoforte accompagnava la visione, anche un po’ coprendo il rumore del motore che faceva avanzare la pellicola davanti all’obiettivo di proiezione. Filmati d’epoca ci ricordano che le riprese iniziarono ad esser fatte con strumenti a manovella. Era fine ottocento: il film muto degli anni degli inizi, secolo seguente quello dei lumi, non poi tanto lontano da noi, poco più di un secolo fa. L’associazione con la musica che accompagnava, direttamente in sala la proiezione, gli giovò per un esordio con un grande senso del ritmo che poi anche nel presente, continua ad essere ciò che veicola le emozioni.

“Parigi a piedi nudi”, possiamo percepirlo anche come un’esortazione ad attraversare così ciascuno i propri luoghi, perché l’appiedi è, nelle città, l’analogo del viaggio via terra in cui abbiamo sostituito, all’attraversare, il trasvolare, ed al percorrere, la meta, per “risparmiare tempo”. Con siffatti comportamenti, in realtà, non viviamo le città e non comprendiamo i luoghi ove giungiamo. Al posto dell’osservazione progressiva del mutare in continuo e per contiguità, “subiamo” il salto della differenza: un’opposizione. Questi comportamenti sono l’inverso del poter essere cittadini del mondo, ci impediscono di esserlo. 

Non tanto paradossalmente: quanto più possiamo esser facilmente ovunque, tanto più rimaniamo in superficie rispetto ai luoghi nuovi che raggiungiamo a causa dei limiti del nostro metro. Uno sguardo rimasto uguale a se stesso, fossilizzato nei paradigmi di una specifica realtà, la nostra quotidiana, spesso inadeguata a cogliere la ricchezza e lo spessore culturale del luogo dove siamo giunti. 

Il giungervi, alla meta, attraverso un percorso breve, ancor più, una sorta d’esser stati catapultati in una realtà differente dalla nostra quotidiana, ci vede impreparati a cogliere essenze che ci sarebbero più chiare se solo vi giungessimo per il reale percorso necessario, in cui, come in una dissolvenza incrociata, lungo il percorso, si trasformano le cose e prima ancor ciò che si percepisce di esse ed i valori che vi si attribuiscono, progressivamente, lungo il percorso. Vanno in secondo piano gli aspetti consueti del nostro relazionarci al mondo per dar spazio in primo piano a nuovi, appena acquisiti, modi.

L’apprendistato, veicolato dal modo progressivo di muoverci nello spazio, ha il merito di fornirci alcuni perché dei cambi di punti di vista sulle cose e sulle abitudini che cadono sotto la lente potenziata della nostra osservazione: ci fa intravvedere delle possibilità, ci rende partecipi di altri modi di essere in relazione con il mondo, fornendoci delle chiavi culturali, in maniera analoga a come accade quando stiamo facendo un percorso nel tempo, ossia rileggendo la storia. Unica differenza che, le contiguità, invece d’esser temporali, sono spaziali: ossia, geografiche, anziché storiche.

Allora ci è più comprensibile l’acrobatica visitazione della Tour Eiffel, potente strumento per indagare Parigi da punti di vista inusitati, quasi si fosse in caduta libera mistilinea, tra lineare, regolata dai tralicci su cui si sta in equilibrio e le rotazioni impresse alla scaletta metallica a cui è aggrappata la protagonista, indotta dai passi come di danza di lui che l’ha appena salvata dalla caduta per ribaltamento, dopo il distacco della scaletta dalla struttura per via dell’accidentale sgancio del suo perno di fissaggio.

Quindi, disponetevi a leggere tali miriadi di piccole “trovate” spiazzanti e dalla riuscita valenza poetica, come quando assistiamo al duetto di danza della coppia di scarpe di una coppia ritrovatasi in età e che magistralmente, seduta in una panchina nelle adiacenze della Tour Eiffel, conferisce a gambe e piedi calzanti le scarpette, la natura di ballerini, rimandandoci alla loro passione che dalla gioventù permane, reinventata in tale sequenza del ballo delle scarpette seduti sulla panchina.

Le passioni trovano sempre il modo più adeguato per esprimersi e non morire, quali che siano i limiti che il tempo progressivo ci impone. È l’importanza del divagare che, fortunatamente, con l’età, si presenta spontaneamente, frutto di accumulo di esperienza e limiti al movimento.
Ne risulta un’ottima iniezione di fiducia nel futuro, se solo sapremo lasciarci attraversare dalle emozioni e ciò ad una unica condizione che rende attuabile questa magia del fare uscire, ed operare, il meglio di se: prenderci del tempo per noi.


Clip Danza dei piedi dal film Parigi a piedi nudi | Video - Movietele.it


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