Viaggio iniziatico, in: Easy
Viaggio iniziatico, in: Easy, un viaggio facile facile. Quando un “viaggio”, in auto, che prevede l’attraversamento di una frontiera, “accidentalmente” si trasforma in un più lungo viaggio, per completare la missione affidatagli, Easy che è molto emotivo, ma calmo, si trova a percorrere una sorta di percorso catartico-iniziatico.
Questo ho creduto di ravvisare in Easy, dopo il passaggio della frontiera tra Europa ed ex URSS. La commissione di Easy, ex pilota di auto, è condurre i resti mortali di un Ucraino, dove la sua famiglia potrà seppellirlo. Easy, con la sua corposità, il suo fare, il suo prender calmanti, da subito, all’intrapresa del viaggio, ci appare disadattato che fa della scrupolosità nel seguire le indicazioni per portare a termine il suo compito, un preciso ed indifferibile dovere.
Sin dal passaggio della frontiera siamo indotti a credere che dentro la cassa ci sia altro, ossia che il viaggio sia di contrabbando. Ciò dipinge gli incontri di Easy di surrealità, e, come tali siamo portati ad accettare le trasgressioni: alimentari, abbandonati i pasti preparatigli da sua madre, la necessità di tagliare la barba alla frontiera, per essere riconosciuto nella foto della patente, l’intrapresa di una gara automobilista su autostrada con il suo nero carro funebre, contro una rossa auto sportiva che lo condurrà lontano dal suo percorso.
Leggiamo tutto ciò e quello che gli accadrà successivamente, ancor più come segni di ribellione alla sua attuale condizione, salvo poi a convergere su una progressiva perdita di contatti con chi gli ha commissionato il viaggio che si informava sulle tappe del suo percorso e ci induce a credere ancor più, che contrabbando sia il compito affidatogli, confidando nella sua buona fede.
C’è l’attraversamento di un mondo che ancora vive sui resti, a distanza di tempo dal crollo dalla URSS e da quello del muro di Berlino che diedero luogo alla frantumazione in piccoli stati in cui, mai sopite, le tradizioni e la vita contadine, sono ancor più salde e con esse una economia di sussistenza che si innesta sui resti del grande smembrato impero sovietico.
Sorprendenti sono le relazioni che si instaurano nel commissariato dove va a denunciare il furto della sua auto di cui gli resta solo il gravoso fardello della cassa da morto la cui difficoltosa consegna è lo scopo di questa sua porzione di vita.
Anche l’ospitalità ricevuta da una famiglia cinese, nella steppa, che lo aiutò a raggiungere la stazione di polizia, la sua fuga, quando gli viene contestata la multa per eccesso di velocità a fronte della denuncia del furto dell’auto, divengono altrettante occasioni per radicalizzare il senso del suo esistere in relazione al compito di consegnare la cassa da morto con il suo contenuto.
Ecco allora che, indigente, trova rifugio in una chiesa ove incontra il parroco che sta spretandosi e ravvisa in lui il suo sostituto mandato a subentrargli. Questo errore, è presto superato e da luogo alla confessione del prete, nel suo ultimo giorno da prete, poi farà il cantante rock, delle motivazioni che lo hanno indotto a questo passo: sostanzialmente una scelta di libertà nel segno della discontinuità con la vita passata e ciò si fa metafora del cambiamento che giunge nei più reconditi anfratti dell’animo umano.
I surreali frammenti di viaggio sul fiume, tra le rapide, a cavallo della bara e poi con il calesse guidato da un vecchio che ha ormai una età indefinibile, lo conducono a due incontri in successione con parenti del morto: la figlia che riceve solo la lettera del padre che mai conobbe e per cui ha maturato astio e l’altra famiglia che il morto aveva costituito in un altro paese.
Differenti sono le accoglienze della persona sola, abbandonata, affranta, morta sua madre che era l’unica sua certezza al mondo, e del coeso gruppo familiare dell’altra realtà, l’altra famiglia del morto, che accoglierà e darà degna sepoltura al morto con una tradizionale lunga festa cerimoniale in cui tutti si impegnano con trasporto.
È qui che abbandoniamo Easy, cristallizzato in disegno con un piccolo appena nato affidatogli dalla giovane madre che gli dice esser figlio di Taras il morto. Ecco allora che come per i villaggi dall'identico nome, anche il morto si moltiplica in identità ed avviene ad Easy che aveva gettato dentro la fossa, sulla bara, oltre che gli effetti personali del morto, anche le carte che svelano le tappe del suo viaggio e la sua identità, il suo cambiamento, la rinascita!
Comprendiamo, oltre la domanda, che si fa Easy, a fine film e compito: “ed io adesso cosa faccio?”, che ha trovato una famiglia ed una vita futura.
La cifra iniziatica del viaggio, metafora del morire del vecchio se stesso per rinascere a nuova vita, si compie, in questo stralunato film che ci conduce con mano sicura e leggera a vedere, oltre il guardare, la realtà, molto più stupefacente dell’immaginario e crediamo alla storia che avevamo giudicato surreale. Maestrie rare da regie illuminate!
Scritto l'articolo, come è mia prassi, rigorosamente dopo il mio commento e pubblicazione, alla visione dei film, ho letto, proprio poco fa, una recensione che è molto bella, a firma di Carlo Cerofolini, su ondacinema.it, ovviamente ve la consiglio.
RispondiEliminaRisarcisce anche dal mio aver visto, almeno in parte, un altro film, avendo mancato le prime scene in cui si ha il senso del reale contenuto della bara, il morto e quindi non sarebbero venuti i miei dubbi sul contrabbando. Resto comunque affezionato anche a quest'altro film che ho visto, in parte diverso da quello che il regista ha proposto a tutti i puntuali spettatori in sala. Allora, nonostante tutto, invito voi alla puntualità all'accesso in sala. Buon film, propiziante uno sguardo attento ed apprezzante il linguaggio cinematografico in cui la parola è breve e significativa sottolineatura, come la conclusiva di cui vi descrissi senza riuscire a trovare per metterla come immagine, la conclusiva pietrificazione del personaggio in disegno.