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L’aspirazione dell’umanità, in: "La casa sul mare"



I luoghi dell’infanzia sono magici, e non solo nel ricordo. Far comunità in un piccolo centro marino, tra ripide balze ed alta scogliera, tranne dove un piccolo porto lo apre al mare: questo il luogo, ed è un destino.

Luogo assimilabile a quelli delle liguri Cinque Terre, ma in Francia. Alla distanza a cui noi messinesi vediamo la sponda calabra v’è Marsiglia, lo sguardo dal terrazzo della casa sul mare, abbraccia il mare aperto.

Quel destino: far comunità, si è inverato, li, sotto il solidissimo ponte della ferrovia con i robusti archi in pietra, come quelli che scavalcano il nostro Camaro. Il treno che attraversa quel ponte, ora in un senso, ora nell’altro, collega grandi città, il mondo intero, ha segnato il tempo ed anche l’allontanamento di alcuni suoi figli che andarono nel mondo.

Questo il paesaggio anche culturale che ha accolto la famiglia protagonista della storia, al tempo della sua formazione e che ha condiviso la vita e il sogno, con una piccola comunità di altre famiglie che hanno costruito tutto mettendo assieme le forze, ognuno collaborando secondo le proprie attitudini.  

Chi è andato via vi torna per via dei legami familiari: singolare è un ritorno, chiamati dell’ormai incerta salute, nella vecchiaia, di colui che è stato il promotore di quella realtà. Giovi a farsi un’idea il suo ruolo di Babbo Natale accolto dalla felice e vivace comunità ricca di bambini, sotto l’unico grande Abete di Natale, addobbato da tutti, nella piazza del porto.

Vite intrecciate che i residenti rimasti continuano, ruotando il sostegno economico tra le attività di mantenimento del paesaggio, quelle cure che salvaguardano la campagna, la pesca e l’attività del ristorante, l’impresa che adduce sostegno con risorse monetarie che giungono grazie all’ormeggio dei natanti da diporto che riparano nella cala.

Facile immaginare i legami nella siffatta realtà. Adesso che è tornata anche la figlia attrice, dopo decenni di assenza, preceduta dal fratello che scrive e dalla sua giovane fidanzata, son li, tutti e tre i figli, con quello che, rimasto con il padre, gestisce il minuscolo ristorante solo di primi e freschissimo pesce che un giovane rimasto al borgo, pesca con l’ormai unico, piccolo, peschereccio.

La motivazione che ha tenuto lontana la donna è un lutto, l’accidentale morte della figlia che bambina villeggiava dal nonno. Questo le ha fatto perdere il compagno, contrario a mandare li la bambina per via di un presentimento. Le questioni del sentire, della fascinazione dei luoghi e del genere di vita che vi si conduceva, ha impresso qualcosa di indelebile in tutti, pur in differente maniera.

Anche adesso che il riunirsi è dipeso dalla precarietà della salute dell’anziano genitore, ed anche per il figlio unico di un’altra anziana coppia del borgo, ormai spopolato: i citati attori ed una giovane con i fratellini, naufraghi dei nostri tempi, accendono la scintilla di comunità. Sono i suoni degli echi che convenuti e nuovi venuti rilanciano sotto le possenti arcate del ponte, a risvegliare dal torpore l’anziano, portato a godere della vista del mare nel grande balcone con il parapetto in vetro, opera architettonica che tanta fierezza indusse agli abitanti per via dell’essere venuta a vedere da tanti.

Su cos’altro possiamo riflettere, oltre che sulla formazione di una concretissima famiglia tra l’attrice, il pescatore e la gioventù “piovuta... dal mare” ed altri potenziali legami che si formano? 

Certamente ha sostanza anche la passione per lettura e scrittura, assieme a quella per il teatro e cruciale è l’espressione: mettiamo le nostre radici dove seppelliamo i nostri cari. 

La giovane naufraga ha seppellito un terzo piccolo fratellino, non sopravvissuto al naufragio. Il giovane medico la cui coppia di anziani genitori, serenamente se ne va, apparendo addormentata mano nella mano, si trova, in analogo legame con quel luogo, con la giovane che vi si trovò catapultata e stregata, venuta con l’uomo da cui fu affascinata all’università. Lo scrittore venuto a raccontare dei tempi della rivoluzione e dei sogni del ‘68, come dell’esperienza comunitaria realizzata dal padre nel piccolo, isolato, borgo.

Quel vociare dell’eco ha risvegliato l’animo del borgo, quel sogno non si è ancora concluso, trova materia per mutare e nel mutamento riprendere a vivere. E' adombrata, ma nemmeno tanto larvatamente, l’idea di un futuro di ibridazione: di culture, di individui e di legami che non si sciolgono. Questi sono i luoghi da cui ripartire per fare comunità e come nell’esperienza del sindaco di Riace, Lucano, integrando con la giovane linfa degli immigrati le nostre migliori forze e cuori soprattutto.

Un mondo che potrebbe essere distrutto dallo spopolamento e svendita dell’abitato, è monito la presenza di natanti saturanti il porticciolo, trova invece cuori nuovi e rinnovati per tornare come al suo tempo migliore:  quello in cui tutti si aiutavano per far le necessità "di tutti".

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