La cronaca e la vita come sensori
Ciò che, istintivamente, giudichiamo assurdo, venendoci sotto gli occhi eventi di cronaca miserevoli, se solo ci diamo il tempo per andare oltre l’assurdità ci si presentano compassionevoli.
Questi moti dell’animo non sono bastevoli a decretare il nostro distacco dall’evenienza: da individui maturi. Pur non esperti e non sufficientemente a conoscenza del contesto in cui maturarono, gli “orrori”, siano frutto di raptus o di distrazione, la nostra maturità stimola la riflessione sul mal vivere che, abbiamo lasciato prendesse le nostre vite.
Ancor più ci dovrebbero turbare le testimonianze di quanti, conoscenti dei malcapitati, vittime entrambi: quelli che poniamo come autori, e quelli che, nell’esito plateale poniamo come malcapitate vittime, ce le illustrano come persone normali. Bisogna, ancora una volta, rifiutare la superficiale dicotomia che tende a mettersi in atto: quella del colpevole e della vittima, in quanto, per questa via, continuiamo a tenere chiusi gli occhi della nostra coscienza, consapevoli che ripeteremo alla prossima eventualità l’identico, inutile, rituale di colpevolizzazione ed autoassolvendoci. Non come individui, ma come società, siamo parte della causa scatenante dei raptus, come delle distrazioni, tanto letali.
In passato, lavorava, con più forza, la coscienza collettiva che sapeva opporsi alle vere cause dei malesseri. Nelle narrazioni politiche della sinistra, ad esempio, in quei movimenti che opponevano gli operai ai padroni. Schema inattuale nella contemporaneità soprattutto perché le controparte si è molto ben celata. Nel presente quindi, ci si trova ad essere spinti verso una lotta, fratricida, per la “sopravvivenza”.
Se solo partiamo da questa consapevolezza, non è difficile aver chiaro che, ogni volta che siamo indotti in un percorso di massificazione, stiamo perdendo dignità. Tutti i processi che ci pongono in condizioni di inferiorità nei confronti di altri, ci fanno perdere umanità. Non sarà un caso che, strategicamente i supermercati per i tre reparti: ortofrutta, salumi e carne, pur con differenti forme di rapporto con la clientela, pongono un’interlocutore diretto come venditore, limitando lo scaffale a presa diretta, dandolo solo come alternativa a chi proprio non ha altro tempo che quello dell’afferrare il preconfezionato.
E siamo al dunque, su una delle questioni più rilevanti: il tempo per se stessi, quello per prendersi cura di se e della propria famiglia; persino dei propri amici.
Il lavoro e più ancora le ritualità sociali senza le quali “si è nessuno”, ci assorbono, divengono i nostri allucinogeni: nella ritualità, ci disumanizzano perché crediamo di scegliere, ma in realtà attingiamo ad una sorta di parcogiochi, limitando sempre più la nostra inventiva. Certo, siamo iperstimolati, ciò in cui riusciamo meglio degli altri ci da momentanee glorie: diviene essenziale non rimanere mai soli con noi stessi che, allora daremmo spazio al dubbio sul senso di tutto quello che riempie la nostra giornata, persino a scapito del riposo rigenerante.
Siamo stati consenzienti a via via perdere umanità, e ciò è accaduto quando abbiamo iniziato a perdere fiducia persino in chi abbiamo a fianco: i nostri rapporti si sono incruditi, anche se abbiamo fatto di tutto per nascondercelo.
L’essere stati proiettati in un continuo stato di bisogno peggiorato dalle incertezze sul futuro dovrebbe stimolare in noi le leve della ribellione: torniamo alla evanescenza della vera controparte!
Allora la controparte è diventata chi abbiamo vicino, persino coloro per cui abbiamo sincero affetto. E non è un caso che sono le condizioni di grande pericolo, se ben percepito, ossia quando si manifesta distruttivamente, a rafforzare i legami umani.
Davvero la nostra risorsa per riattivare l’umanità è il conclamato pericolo in atto? Le recenti vicende politiche italiane ci inducono a considerare veritiera questa ipotesi.
Eppure, altre “rivoluzioni” necessitano per ricostruire il tessuto sociale, fuori dal continuo allarme delle emergenze. Si tratta di, progressivamente, e tenacemente rifiutare l’assetto “sociale ?” in cui siamo ingabbiati. Non è facile dire no alle lusinghe del mercato ad ai modelli “vincenti” che ci vengono proposti. Non è più tempo però di resistenza passiva: l’elaborazione di modelli più umani, passa per alcuni no, ma anche per coraggiosi cambi di paradigma. Ciascuno avrà trovato la sua strada di impegno sociale concreto con l’aiuto del quale combattere lo stress omicida.
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