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Necessità sociali in: “Due sotto il burqa”






Più di quanto non ci si rifletta, le necessità di socializzare, portano a costruirsi, ciascun individuo, un mondo di: analogamente pensanti e facenti, o di entrare nella più affine comunità dei coetanei, adattandovisi.

Maggiormente evidenti tali necessità sono sentite da chi si trova in una nazione lontana dalla propria. Una tematica di questo genere, vede spesso contrapposizioni culturali tra immigrati e nativi. Eppure, per occasionalità di emigrazione da una medesima nazione, temporalmente a scaglioni, una stessa etnia si viene a sentire come prima generazione, pur se altri della propria vi sono ormai da decenni. 

Una tale situazione, in “Due sotto il burqa”, riguarda i provenienti dall’Iran che si stabiliscono in Francia una prima volta come rifugiati politici a seguito dell’abbattimento della monarchia, successivamente, una seconda ondata, come appartenenti al regime islamico instauratosi e inviante in Occidente “cellule” a far proseliti, e cambiare la civiltà occidentale.

Fanno comunità a se i monarchici rispetto ai comunisti ed agli islamici, che, si sono associati per sentirsi uguali e quindi pari, meno soli, in una società con tradizioni altre dalle proprie originarie, ma, necessariamente in disaccordo su vari punti del condursi le vite di quella che comunque è comunità di residenti all’estero.

Troviamo, apparecchiata, la situazione in cui lo stesso nucleo familiare, mantiene le tradizioni iraniane nei più adulti, mentre i più giovani, giunti appena ragazzi, tendenzialmente, assorbono modi propri del paese ospitante e più genericamente, occidentali. Fanno parte invece degli islamisti più integralisti i più recenti immigrati, o chi, tornato in Iran sotto il regime islamico integralista, si associa a tale linea, e, ritornato in Francia, sente più forti i legami con la comunità che ha coltivato l’integralismo.

Un legame affettivo tra una lei ed un lui entrambi iraniani, appartenenti alla schiera di coloro che si sono occidentalizzati, si complica quando un fratello di lei si islamizza in maniera integralista. 

Modi culturali differenti, tanto da produrre tensioni anche all’interno dei rapporti familiari, svelano che in realtà ciascuno: tradizionalisti, integralisti e integrati nella cultura occidentale, ha scelto l’appartenenza, sulla base di fascia d’età ed esperienze che lo fanno sentire, uguale tra pari, in quello od in quell’altro gruppo, con tutto ciò che questo comporta dal punto di vista dei comportamenti. 

Una cosa che emerge è che più dell’essere, questa appartenenza, una scelta culturale è più, o prevalentemente, una scelta tribale, infatti, sono piccoli gruppi di individui che si conoscono molto bene avendo condiviso esperienze comuni, a formare per l’appunto, piccole, tribù.

Una misura intermedia tra famiglia e comunità ampia, quella del gruppo sociale di lunga tradizione di frequentazione, che è modello ricercato da tutti noi, prevale.
Nel film, le specificità di tali gruppi entrano in conflitto e sono occasione di uno snodarsi, logico, se si tiene conto delle differenze tra questi gruppi, con al centro la storia, che diviene gustosa, dei due fidanzati, ad un certo punto osteggiati dal fratello di lei, tornato dall’Iran, trasformato in integralista islamico.

È essenziale lo sfondo parigino di quartieri razionalisti periferici, uniformi, bianchi e puliti, quasi una ambientazione asettica, altra, che nulla ha a che vedere con alcuna delle citate culture. Va però riflettuto, aldilà dell’epilogo, su questo protagonista asettico, appianatore delle differenze e su cui la regia indugia, quasi a chiedersi se sia giusto navigare verso l’appianamento, la cultura unica.


Sullo sfondo parigino testé descritto, spiccano maggiormente queste figure di iraniani, raramente viste in rapporto con i francesi, e più di tutto spicca il nero integrale del burqa che ha un ruolo rilevante e gustoso, mi ripeto, nell’evolversi delle situazioni per cui, gli integrati, hanno scelto il raggiro rispetto allo scontro frontale, con l’integralismo. Gli integralisti vengono battuti sul piano della coerenza interna delle loro restrittività rivelatesi insopportabili anche per loro.

In modo leggero ed in forma di commedia viene posta l’attenzione sulla divaricazione che tanto da vicino ci riguarda nella contemporaneità in cui le due categorie del locale e del globale ci pongono costantemente necessità di scelte, volta a volta ascrivibili ad una di esse categorie: merito del film è porle costantemente a fianco, l’una dell’altra. 

Sui titoli di coda che scorrono, suona Venus, pluriprima in tutte le classifiche europee dei brani più venduti in quel 1970, nelle cui strofe tradotte in italiano si ascolta:   
      _   Le sue armi erano i suoi occhi di cristallo
    Che rendevano ogni uomo un vero uomo
     Lei era nera come la notte più scura
     Lei aveva quello che nessun’altra aveva
     Wow!
Non sarà un caso questa scelta di colonna sonora di coda, adombrandosi l’allusione al nerissimo burqa in “lei era nera come la notte più scura” ed anche quella a chi lo indossò prevalentemente nella storia, celato sotto esso, ma di cui si può dire: “le sue armi erano i suoi occhi di cristallo”, l’unica parte del corpo visibile sotto il burqa!  


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