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Due modi di reagire, in: Tre manifesti ad Ebbing


La vita ci sorprende e non sempre come vorremmo: se siamo vittime di un trauma, come la perdita di un figlio o la certezza che un cancro ci sta uccidendo, possiamo reagire con rabbia o decidendo di mettere a frutto il tempo che ci resta indicando la strada della ragione, oltre il dolore, a chi resta.

Il luogo è la provincia statunitense, quella che si sente ancora frontiera, lontana dai centri più popolosi, e prova a governarsi ed a reagire a metodiche che non comprendono queste realtà marginali. Si è più soli quando accade di avere una perdita, proprio perché si abitano grandi spazi e le relazioni sono occasionali, si è più portati a credere che il male venga dall’esterno, ed al contempo che non si venga a capo in tempi brevi alle questioni, ciò produce un senso di impotenza.

Avviene allora che chi più soffre, investe tutte le proprie energie nella soluzione di ciò che spera possa dargli una qualche pace, quantomeno nello scongiurare che altre madri debbano avere simili lutti, violenza ed uccisione di una figlia, con cui pure c’erano screzi, ma, in quali famiglie, la questione generazionale è risolta?

Quando poi le famiglie sono monche, il peso del disagio sociale schiaccia chi ha cuore. Che sia la madre che ha perso la figlia, il capo poliziotto che ha una bella famiglia ed un cancro o il giovane poliziotto che è entrato in una “confraternita”, la polizia, appunto, senza mai essere uscito dal ruolo di figlio nella famiglia senza padre.

La madre vuole che non si debba ripetere per altri ciò che sta patendo, denuncia platealmente quello che ai suoi occhi è un disinteresse delle istituzioni alla risoluzione del caso. Ritiene non si stia facendo abbastanza per trovare violentatore ed assassino, allora affitta tre grandi cartelloni pubblicitari lungo la strada per farvi affiggere frasi che denunciano l’immobilismo, la distrazione in altro, persino il volontario disimpegno delle forze dell’ordine.

Dove tutti un po’ ci si conosce, ci si incontra per parlarne, tra le parti in causa ed il poliziotto capo, quello con il cancro, prova a convincere la madre affranta della buona fede, dell’aver tentato il possibile. La visita viene ricambiata, ma in tono di sfida e ci incappa il detentore del caso.

Il ragazzo che è entrato in polizia, quasi fosse una confraternita: novello Don Abbondio? Anche lui, con il suo piccolo potere, cerca di allontanare da se le responsabilità, ma ha di fronte una donna forte e disperata. Quando si è così, si è pronti a tutto: gli uni e gli altri.

All’aggressione ai giovani che gestiscono la piccola società pubblicitaria che ha affisso i manifesti, segue l’incendio della sede della polizia. Tutto ci lascia credere che bisogna stare dalla parte della combattiva madre e quando a causa della malattia il poliziotto capo si uccide, le due chiavi sono: colpevole/vittima.

Le lettere da lui lasciate alla famiglia, ma anche alla madre combattiva ed al poliziotto sbrigativo, sono tre atti di fiducia nel loro buon senso a condursi in sua assenza. Ci vorrà tempo perché questa sua prospettiva sia accolta, passando da ulteriori traumi ed anche speranze. 

Alla fine, alleati, la madre combattiva e l’altrettanto combattivo giovane poliziotto che nel mentre è stato allontanato per la sua condotta, quando una loro traccia è sgonfiata dal nuovo capo della polizia, quello venuto a moralizzare l’ambiente, muovono verso l’indiziato, ma hanno un ragionevole dubbio che sia giusto agire, pur immaginando che di un altro analogo crimine sia possibile colpevole.

Tutto è più dinamico, articolato e ricco di risvolti, di quanto, in pochi righi, si possa comunicare e persino contenere. Pur sospeso, il risvolto morale e la chiamata ad uno sguardo più fiducioso soprattutto verso se stessi, che stava nelle lettere del morto, ci dice che forse solo le “lettere dall’aldilà” ci fanno riflettere e poi un po’ ragionare, o tornare in noi stessi, nel migliore noi stessi. Tematiche non secondarie per leggere il presente maggiormente in profondità e traendo accuratezze dello sguardo necessarie per una lettura non irresponsabile del presente.

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