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Riccardo Orioles: Maestro di giornalismo, Uomo

Ci sono giornalisti... uomini (o donne che siano) che osservi, ascolti e leggi con distacco, di cui non condividi ciò che viene espresso, ciononostante ne apprezzi la forma, lo stile e ne resti persino affascinato; altri che ti augureresti cambino mestiere alla svelta, pur restando comunque al servizio dei poteri di cui sono schiavi.

Ci sono anche coloro che stimi ed ammiri istintivamente o ponderatamente, dopo averli letti o ascoltati; Riccardo Orioles ti viene voglia di abbracciarlo, ed è uno che consideri, già dopo aver esaminato uno dei suoi editoriali, ed ancor più conoscendolo personalmente, uno di famiglia.

O almeno è quanto accade a me: ma presto ne converrete anche voi.

Riccardo Orioles, orgoglio della nostra provincia e di tutta l'isola, nasce a Milazzo nel dicembre del 1949. È un bambino che rivela un'intelligenza precoce e dalla sensibilità non comune. Sogna di fare il missionario in Africa ed è irresistibilmente ed eticamente attratto dalla lotta contro le ingiustizie ed in favore dei diritti e dell'uguaglianza degli stessi tra gli uomini.

Il giovane Riccardo è particolarmente colpito, come altri suoi coetanei, dall'assassinio di un ragazzo ad opera di una banda fascista avvenuto nel '66; sono anni di grandi fermenti politici e di un certo notevole idealismo tra i giovani. In Italia, a sinistra, opera, oltre al PCI, una costellazione di vari movimenti: in Sicilia sono attivi, tra gli altri, un 'Partito dei Contadini', specie nei paesi, il 'Movimento Studentesco', tra i giovani scolarizzati, e 'Lotta Continua'.

Notevole è l'impegno anche dei 'Giornali di fabbrica' o di quelli dei 'Collettivi studenteschi' che si avvalgono per la loro diffusione dei comuni, per l'epoca, volantini. Il giovane Riccardo, dalla prosa diretta ed avvincente, comincia a farsi le ossa e a prendere anche contatto via via con varie belle firme e carismatiche figure del periodo, come Mauro Rostagno e Guido Viale.

Naturalmente portato per gli studi classici, pur bravissimo in particolare in italiano, latino e greco, una delle sue grandi passioni, Orioles decide di iscriversi invece alla facoltà di Fisica, con discreti risultati ed ottimi professori, tra i quali il notissimo matematico Calapso e il validissimo Faedo, divenuto Rettore della 'Normale', ma non termina gli studi; poi, per accontentare il padre che avrebbe voluto vederlo laurearsi, s'iscrive alla facoltà di Legge, ma non conclude gli studi per soli due esami.

Prosegue intanto la propria attività giornalistica presso piccoli giornali e le prime radio libere ed approfondisce il suo impegno politico.

Comincia quindi a sentire parlare di un uomo, giornalista, letterato, scrittore e genio poliedrico, e si appassiona ad un'opera dello stesso, 'La passione di Michele': si reca addirittura a Catania per conoscerlo e nascerà da lì un incontro che rappresenterà per la vita di entrambi un'attrazione reciproca e fatale, e che sfocera' in una grande amicizia e in un'intensissima collaborazione professionale. Lo ritrova al 'Giornale del Sud', quale suo direttore, proveniente da 'Espresso Sera': quell'uomo è Giuseppe Fava.

Maestro Orioles... lei è il maestro di tutti noi modesti operai o volontari dell'informazione e mi permetterà se la chiamerò così... Con Giuseppe Fava lei ha fondato a Catania il giornale 'I Siciliani' nel 1983 e poi siete riusciti a portarlo avanti denunciando, praticamente da soli, le attività sporche di Cosa Nostra ed occupandovi di massoneria, imprenditoria illecita, politica connivente, in poche parole dei cosiddetti 'colletti bianchi' ancor prima che la società medesima ne prendesse coscienza. Cos'è che realmente vi spingeva a farlo?

"Vedi... dammi del tu invece, così mi fai sentire tra l'altro meno 'monumentale' di ciò che sia... Non è che uno decida prima di lottare contro un obiettivo, metti che sia la 'mafia' o un altro. Ci si ritrova automaticamente. Io parlerei intanto piuttosto di 'potere mafioso', che lo puoi riscontrare purtroppo in tante realtà. Se hai un profondo senso della giustizia ed una sensibilità, e ti ritrovi ad esempio ad osservare un bimbo costretto a lavorare in miniera, ti ribollira' il sangue e ti chiederai come sia possibile: da lì, giungere alle reali cause dello squilibrio economico e dell'ingiustizia ti verrà normale."

Quando scrivevate i vostri editoriali sul giornale, qual era la reale funzione di ciascuno di voi?

"Gli editoriali li scrivevamo io ed alcuni colleghi: oltre me, mi preme ricordare l'amico Michele Gambino, che li firmava con me, i redattori Rosario Lanza, Elena Brancati, Graziella Proto, Claudio Fava, Lillo Venezia... Pippo (Fava, n.d.r.) dava ai nostri articoli, alle nostre denunce, letteralmente 'la luce'. Con la sua abilità dialettica, con il suo grande carisma, li ricostruiva scenograficamente, puntando dei fari su tutto ciò che ad una prima osservazione poteva apparire normale. Chiaro come ciò potesse essere avvertito quale grande pericolo da parte del potere mafioso..."

Un anno dopo, infatti, purtroppo Pippo Fava venne ucciso. Ma rischiavate comunque anche voi.
Fava soleva dire: 'A che serve vivere se non si ha il coraggio di lottare?' Ma al tempo stesso confessò un giorno, accennando ad alcuni ragazzi disadattati: 'Se si dà ad uno di questi ragazzi qualcosa come una pistola e 500mila lire per uccidere uno di noi, potrebbero farlo e sarebbe la nostra fine: ma in fondo chi ce lo fa fare?' Non le sembra una dicotomia irriducibile? Eravate già stati minacciati nella precedente esperienza al 'Giornale del Sud', con relativa esplosione di un chilo di tritolo, al quale scampaste miracolosamente... Non avevate davvero paura?

"Certo che avevamo paura! Non credo che le due dichiarazioni di Pippo lo ponessero in contraddizione. Lo rendono invece ancora più profondamente umano, come ciascuno di noi. Non esistono gli eroi che non hanno prima acquisito una vera consapevolezza della paura: quelli sono solo folli o incoscienti. Quella frase del...  ragazzino, se vuoi saperlo, Pippo la disse proprio rivolgendosi a me, ma come un soldato che sa che possono arrivare i nemici e ne ha umanamente paura ma non abbandona la sua posizione, egli non arretro' di un passo, così come nessuno di noi. Al 'Giornale del Sud' fra l'altro prima tentarono di comprarci e di farci chiudere ma noi ci opponemmo risolutamente e i tentativi non riuscirono. L'esplosione fu anche un loro segnale di debolezza."

Come mandante dell'omicidio di Giuseppe Fava fu indicato Luciano Liggio e come esecutori, alcuni esponenti del clan Santapaola. Cosa pensa di ciò Riccardo Orioles?

"Che l'inchiesta, nella sua integrità, e le conclusioni alle quali si giunse, non mi convinse affatto. Cui prodest la morte di Fava? A chi è veramente giovata? Noi attaccavamo direttamente tutti gli illeciti perpetrati a Catania da chi dominava  l'edilizia e tutti gli aspetti economici della città, ovvero i '4 cavalieri dell'apocalisse mafiosa', come Fava li definiva: Francesco Finocchiaro, Gaetano Graci, Carmelo Costanzo e Mario Rendo. I mandanti dell'assassinio di Pippo andavano cercati senza indugio tra loro. Pippo Fava era una voce da spegnere ed il suo..., il nostro mensile 'I Siciliani', da gettare nell'oblio."

Ma così non avvenne comunque. E sopratutto proprio per l'opera di Riccardo Orioles, Maestro di etica e di giornalismo. Lei continuo' il suo lavoro e fondò successivamente il grande settimanale 'Avvenimenti', 'I Siciliani nuovi' e l'originalissima e-zine gratuita 'La Catena di San Libero', diffusa attraverso portali internet ed email.. Io la ricevevo ed era un vero piacere leggerla.

"Sì. Fu un tentativo nuovo, per adeguarsi ai nuovi strumenti informatici e le opportunità che possono offrire. Poi giunsero il mensile 'Casablanca', il magazine online ''U cuntu' ed 'I Siciliani giovani', al quale ancora lavoriamo. E l'esperienza, come direttore responsabile, di Telejato di Partinico."

Oggi però di mafia si parla sempre più raramente nei mass-media, come certamente Riccardo Orioles avrà notato. È un segno di debolezza e di una sua sconfitta?

"Al contrario! È il segnale di una sua mutazione istituzionale ed imprenditoriale e di una sua propria grande forza. Non vorrei essere adesso sconfortante, ma si potrebbe tranquillamente sostenere come in buona parte essa non abbia più bisogno di apparire perché abbia vinto. Non voglio assolutamente asserire che non vi siano più spazi di lotta, ma la situazione è certamente peggiorata ed ora è molto più difficile venirne a capo."

Questo in che misura può anche essere collegato ad una diminuzione del giornalismo d'inchiesta e cosa consiglierebbe ad un giovane che volesse intraprendere oggi la carriera di giornalista?

"Gli direi immediatamente di cambiare mestiere. A meno che un sacro fuoco interiore non gli faccia davvero sfidare la sorte... Oggi non è più come una volta: il cosiddetto 'Biondino' era colui che da ragazzo si affannava, non stipendiato, ma sapendo che, al massimo, oltre la trentina avrebbe cominciato ad avere una sua redazione e qualche soldino da parte. Adesso un giovane rischia di rimanere 'Biondino' fino ai 50anni e oltre... E chi glielo fa fare, a questo punto, incerto anche sul suo futuro e sul suo stesso presente e sostentamento economico, di dedicarsi addirittura al giornalismo d'inchiesta? Anche ammettendo che riesca a superare tutti questi problemi, con l'orgoglio e la passione profonda della sua professione, dovrà essere sostenuto da un continuo praticantato e da aggiornamenti continui; dovrà inoltre mostrare una cultura eclettica, un grande istinto per la notizia, una rapidità notevole soprattutto nella comprensione e una discreta conoscenza informatica, considerando che comunque il rimanere attaccato ad internet è affascinante e comodo ma impigrisce, ed allontana dalla vera esperienza della strada, che era quella che praticavamo noi ai nostri tempi ma che serve ancora."

Quindi Riccardo Orioles crede molto nella cultura e ritiene che anche oggi sia importante...

"Importantissima! Città come Messina e soprattutto Catania soffrono di una dispersione scolastica severa e ciò si rivela in stretta connessione col malaffare e con l'imprenditoria del potere mafioso. La cultura offre l'opportunità di tirarsene fuori."



Un'ultima domanda, Riccardo (vedi, nonostante la mia timidezza, e il senso d'incommensurabilita' che ci divide riesco finalmente a darti del tu): mi vuoi dire quali sono i tuoi più grandi rimpianti, se ne hai, e i tuoi più grandi desideri per l'avvenire?


Si alza, cerca tra vari ricordi, prende una foto, e si commuove mostrandomela... La foto, lievemente sbiadita nei colori dal tempo fatalmente trascorso, ritrae una ragazza molto carina che sorride...

"'Campanellina'. È lei il mio più grosso rimpianto. La mia vita ha percorso una direzione, ed è anche giusto sia andata così: siamo il frutto delle nostre scelte. Ma dobbiamo sempre considerare che ogni nostra decisione possa condizionare le scelte e la vita medesima di altri: viviamo tutti delle storie collettive. Sarei anche potuto diventare un ottimo professore di greco, oppure... vedi, a un certo punto mi chiamò a 'Repubblica' Giampaolo Pansa: io rifiutai. Volevo restare coi miei colleghi, proseguire la nostra vita, il lavoro, insieme: non me la sentivo di lasciarli e di andarmene. E 'Campanellina' fu colei che pagò tale decisione più di tutti."

Noto i suoi occhi inumiditi e ne ritraggo lo sguardo per il pudore di aver condiviso un momento così privato, ma che rende questa persona meravigliosa ancora più umana al mio cospetto.

"Come desideri... mi piacerebbe intanto che a coloro che chiamo 'I miei ragazzi', giovani giornalisti cresciuti con me, e sono tanti, e con i quali sono rimasto in contatto, andasse tutto sempre meglio. E poi mi piacerebbe magari vivere ancora degli anni..."

Te lo auguriamo di cuore, grande Maestro, soprattutto di umanità!

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