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La Libertà è Partecipazione, in: “Unioni culturali di donne e di sapori Maestri 51-52”


La Libertà è Partecipazione, in: “Unioni culturali di donne e di sapori  Maestri 51-52”

Presa a prestito la bella espressione del cantautore Giorgio Gaber, che la declina in una sua canzone, per sottolineare l’inscindibilità del godimento della libertà, dal goderla, per l’appunto assieme ad altri, quelli con cui si partecipò.

Sono storie di partecipazioni, entrambe le presentate, le donne che assieme, durante la prima guerra mondiale, con gli uomini al fronte, li sostituiscono nei lavori più svariati ed ancora, nel secondo dopoguerra, dopo averli affiancati in tutti i ruoli che la Resistenza richiedeva, si guadagnarono la conquista del suffragio universale.

La circolazione di merci più ampia, andrà, opportunamente, ad imbandire le nostre tavole, e circolano i sapori, assieme ai saperi, di quella che già ai tempi dei tanti piccoli stati italiani era la tradizione culinaria italica. 

Piccoli Stati, tutti con una propria cultura culinaria legata alle produzioni delle locali campagne, caccia e pesca. Era una cultura diffusa, prima ancora che si facesse l’Italia, venuta a farsi assieme allo spostarsi per corti degli artisti, ad esempio, ma non va trascurata la componente climatica ed ambientale che quell’unità ha da sempre sostanziato. 

Una cultura culinaria che, si, per tanto tempo fu per pochi, essendo la maggioranza della popolazione costretta dalle lunghe giornate lavorative alla frugalità del pasto, il che ha un suo merito, avendo permesso sia l’inventiva con pochi ingredienti che l’acume nel campo della conservazione che diedero luogo, con certe sovrabbondanze produttive, di latte ad esempio, alla varietà dei formaggi. 

Ci ricorda, lo storico Massimo Montanari, che tiene la lezione “La cucina degli Italiani”, divennero conosciuti, sia ricette che prodotti, con il nome del luogo di origine, appena varcati i confini regionali del prodotto, ed ecco allora, ad esempio, il Parmigiano, di Parma, diffondere la sua bontà.

Bontà di un formaggio, frutto, assieme della qualità del latte prodotto dalla tipica razza delle mucche che pascolano per quei colli ed anche alla qualità della cura, dal perfezionamento della sua trasformazione, sino alla lenta stagionatura delle forme in luoghi adeguati, per ventilazione ed ancora, adeguata cura, consistente anche nella rotazione delle forme, perché sia esposto omogeneamente al flusso d’aria che lo stagiona.

Sicché, queste argomentazioni smentiscono Massimo D’Azeglio che alla costituzione dello stato unitario italiano, si riporta, abbia detto: “L’Italia è fatta, ora dobbiamo fare gli italiani”, ed il libro del 1561 di Francesco Guicciardini, dal titolo, “Storia d’Italia”, rafforza questa anteriorità di una storia comune, che aveva fatto partecipare di comuni destini, gli italiani. 

Altrettanto testimoni di unità delle tradizioni italiche, pur nelle diversità regionali, e, sempre stata la formula della nostra fortuna nel mondo, sono, per lo specifico culinario, i due libri: “Opera” del 1570, di Bartolomeo Scappi, e “L’Arte di ben cucinare” del 1662, di Bartolomeo Stefani. 

In realtà, scambi culturali avevano già prodotto, assieme ai fattori ambientali, nei secoli, quella familiarità del gusto che circolando, veniva adattato, arricchito, variato con le contaminazioni proprie della cultura locale dove vi transitava, a volte a compensare l’assenza di un ingrediente della ricetta ed incontrando le tradizioni delle differenti forme della cultura del fuoco e quindi della cottura.

Si pensi a come, nelle corti, le dame del ducato vicino o più lontano, andate in spose ai nobili d’altra casata e luogo, a rafforzamento dei legami politici, portassero con se anche, se non soprattutto, tradizioni culinarie delle proprie terre, seguite da uno stuolo di servitori a ciò dedicati.

Partecipava quindi, quel popolo eletto, con la tradizione dei lauti banchetti in cui si dava spazio alle più raffinate arti inventive dei propri cuochi, ad un dimostrazione di lunga tradizione di civiltà dei propri luoghi.

Come la formazione di un comune fondo culturale, abbiamo rilevato nel diffondersi e modificarsi, viaggiando tra regioni, le ricette, altrettanto possiamo dire, con la storica Silvia Salvatici, in “Donne e diritti in età contemporanea”, che, un uguale fondo culturale anima le vicende della lunga strada dell’emancipazione femminile e che, pur avendo nel diritto al voto la sua emblematica meta, fu fatta di intense condivisioni, e piccoli progressi di riconoscimento sociale, di cui, le guerre, funsero da necessità ed occasione.

Non è quindi un caso che si registrino cambiamenti dello stato della condizione femminile nella società, a valle delle guerre, dove le donne dovettero sostituire gli uomini nella maggioranza dei ruoli e nei lavori.

Quelle occasionalità furono legami più stretti che si poterono cementare, condividendo e mutuamente sostenendosi, occupandosi dei figli, anche degli altrui, quelle che non erano impegnate nelle aziende produttive, per quelle che, stavano totalmente sostituendo gli uomini al fronte di guerra.

Anche la lotta di liberazione dal nazifascismo, il bel fenomeno di rivolta popolare della resistenza, vide le donne conquistarsi equiparazioni di libertà, passanti per il ricoprimento di ruoli paritetici, in condivisione di clandestinità e difficoltà di vita, per monti e azioni di supporto all’avanzata degli alleati, rendendo, di necessità più rapida la ritirata dei nazifascisti, risalenti lo stivale italiano.

Belle pagine di storia di liberazione di una nazione, passante per un’altra liberazione, quella sancita dall’estensione del suffragio popolare che porterà alla Repubblica, proclamata il due giugno e che non a caso verrà detto suffragio universale.

Eppure, ancora, la completezza dei riconoscimenti della parità di diritti tra i generi, continua ad avere vistose disparità: potrebbe, l’uscita dalla condizione dalla recente segregazione collettiva, rafforzare quel comune senso di partecipazione, capace di produrre libertà?

La strada che saremo capaci di imboccare, fossero buoni gli auspici della tensione alla solidarietà europea che sembra essersi mossa, ci dirà se il nostro impegno partecipativo alla potenziale rivoluzione per la cura dell’ambiente, ci avrà visto protagonisti convinti, attivi, capaci di riprodurre il riuscito esperimento della trasformazione della partecipazione in libertà.

Ciascuno, basterà interrogarci sulle rinunce al futile che stiamo sapendo attuare e soprattuto con la trasformazione di tanti oggetti in materie biodegradabili, e persino nell’esser selettivi negli acquisti di produzioni di lunga durata, stoppando, l’usa e getta, tutte le volte che non sia direttamente da noi biodegradabile, trasformabile facilmente in altro da inserire nell’economia circolare, che, trasforma in un altro bene, il residuale di un precedente andato fuori uso. 

Quindi, una cultura del riciclo e del riuso, della riparazione rispetto alla sostituzione, lo dovremmo apprendere da quella fattiva forza delle donne che in questo campo sono all’avanguardia, anche semplicemente con quanto hanno appreso dalle necessità della conduzione dell’azienda familiare: saperi pronti ad essere reimpiegati nel vasto mondo imprenditoriale, e quindi, non per una “crescita” tout court, ma per il progresso, lo sviluppo sostenibile.


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